
Ogni Natale è un termometro dei consumi. Il Natale 2025, però, riflette qualcosa di più profondo: lo stato di avanzamento della trasformazione digitale del Paese. I numeri raccontano una crescita che non ha più il ritmo straordinario degli anni post-pandemici, ma ha assunto la forma di una maturazione strutturale: la spesa online sfiora i 62,3 miliardi di euro, i prodotti superano i 40 miliardi, i servizi i 22,3 miliardi e l’incidenza dell’online nel retail nazionale resta oltre l’11%. Significa che l’e-commerce non vive più ai margini del mercato: ne è una delle sue architetture portanti.
Il picco stagionale conferma la profondità del cambiamento. La maggior parte degli italiani ha acquistato durante il Black Friday, in linea con i comportamenti europei. È ormai chiaro che l’avvio della stagione natalizia non coincide più con dicembre, ma con la seconda metà di novembre, quando ricerche, wishlist, comparazioni e decisioni d’acquisto entrano nel vivo.
Ma i numeri non bastano, perché è cambiato il modo in cui le persone comprano. La spesa media prevista per le festività è più bassa rispetto allo scorso anno, segno non di un ridimensionamento, ma di una nuova disciplina: budget definiti, più confronto tra prezzi, attenzione al valore percepito e ai tempi di consegna. Il 75% degli italiani acquisterà almeno un regalo, ma i percorsi non sono più lineari: si cerca online, si verifica in negozio, si compra sul canale più conveniente o più affidabile. La fiducia è diventata il nuovo fattore competitivo.
In questa cornice, i segnali che arrivano dai grandi osservatori internazionali delineano un paesaggio in evoluzione. L’integrazione tra canali, l’intelligenza artificiale che influenza già una parte delle decisioni d’acquisto, il social commerce che si mescola sempre più allo shopping tradizionale, il crescente bisogno di spedizioni rapide e sostenibili, la pressione sulle consegne last-mile, il ruolo delle recensioni come primo motore della fiducia: sono tutte tessere dello stesso mosaico.
È un ecosistema in cui il prodotto non basta più: serve un’esperienza coerente, continua, personale.
Lavorando ogni giorno al fianco di merchant di settori diversi, osserviamo da vicino l’evoluzione di questa complessità. E ogni anno emerge con più forza lo stesso pattern: non è la promozione a determinare la performance del Natale, ma l’architettura che c’è dietro.
Lo si vede innanzitutto nella pubblicità digitale, che non è più una leva automatica da attivare nel momento del bisogno, ma una leva chirurgica, costruita con precisione quasi artigianale. Le keyword non vengono più scelte per volume, ma per intenzione d’acquisto reale; le campagne Shopping richiedono presidio continuo; il retargeting è diventato una leva di profondità, non di ripetizione.
E questo cambiamento si riflette anche sui social, dove a funzionare davvero non sono più i contenuti che mostrano il prodotto in posa, ma quelli che sembrano nati spontaneamente dentro il feed. L’utente non vuole essere interrotto: vuole vedere un contesto, un gesto quotidiano, un utilizzo reale.
Allo stesso tempo, è tornata centrale la SEO. Proprio nei momenti di picco – quando i costi pubblicitari oscillano e la competizione aumenta – l’organico diventa una sorta di “gravità” che tiene tutto in equilibrio. Categorie strutturate, schede prodotto complete, immagini leggere e ottimizzate: sono elementi che non fanno rumore, ma che permettono al sistema di reggere quando l’attenzione esterna è massima.
La stessa logica di continuità emerge nell’email marketing, che non è più un corollario, ma una parte del percorso: dalla mail di benvenuto al follow-up post-acquisto, fino ai reminder intelligenti e ai suggerimenti personalizzati. La relazione, oggi, si costruisce soprattutto dopo il checkout, non prima. È lì che il cliente decide se tornerà.
E se c’è un punto in cui tutto si concentra, è la scheda prodotto: la prima vera conversazione tra brand e cliente. Quando è chiara, coerente, aggiornata, diventa un acceleratore naturale della conversione. Quando è incompleta, crea attrito, solleva dubbi, interrompe il percorso prima ancora che inizi. In molti casi, la differenza tra un acquisto e un abbandono passa da lì.
Poi arriva il momento più delicato dell’intera customer journey: il checkout. Un costo di spedizione poco trasparente, una finestra di consegna non chiara, un passaggio di troppo: basta poco per interrompere il flusso. È la conferma di un trend globale che si consolida da anni: la logistica non è più un costo operativo, ma una promessa narrativa. Se viene meno, si incrina l’intera esperienza.
E proprio qui si innesta il tema più strutturale: la multicanalità. Oggi più del 70% delle vendite di prodotto passa dai marketplace, ma la domanda non è più “esserci o non esserci”: è come mantenere coerenza tra stock, prezzi, contenuti e promozioni su ogni canale. È un lavoro di regia, non di presenza. Perché a Natale, come nel resto dell’anno, la competizione si gioca sulla capacità di avere una vista unica del proprio ecosistema: un solo punto di verità su ordini, cataloghi, performance e marginalità.
La fotografia del Natale 2025 non è una semplice istantanea, ma una soglia: molte delle dinamiche oggi visibili nei picchi stagionali stanno consolidandosi come elementi strutturali. È questa evoluzione, più che l’andamento dei volumi, a definire la fisionomia del 2026.
Guardando al 2026, infatti, ciò che emerge con chiarezza non è tanto quanto crescerà l’e-commerce, ma come cambierà. Il commercio digitale globale si prepara a superare i 7 trilioni di dollari, mentre in Europa la crescita procede a ritmo costante, trainata anche dalle forme di vendita non tradizionale e dall’evoluzione dei comportamenti d’acquisto.
La prima mutazione si gioca sul terreno più quotidiano di tutti: lo smartphone. Se oggi è il dispositivo dominante, nel 2026 diventerà il luogo nativo dell’acquisto. Non si tratterà più di ottimizzare il mobile: si tratterà di costruire i funnel per il mobile, con la logica di un ambiente in cui la conversione avviene in tempo reale, spesso in movimento, spesso dentro un contenuto, non dentro una pagina web. Il desktop, per molti settori, diventerà un archivio di ricerca, non la sede dell’acquisto.
Parallelamente, i social smetteranno di essere una “porta d’ingresso” e inizieranno a funzionare come marketplace autonomi. Non saranno più solo strumenti di scoperta o di traffico, ma spazi economici completi: contenuto, recensioni, pagamento, consegna. La linea di separazione tra intrattenimento e transazione si dissolverà, soprattutto in categorie come moda, beauty, home decor e gifting. Per molti utenti, l’acquisto non partirà più da un’esigenza, ma da un video.
A tenere insieme questo ecosistema sarà l’intelligenza artificiale, che nel 2026 cesserà di essere un supporto ai processi per diventare un tessuto connettivo dell’esperienza. L’AI non si limiterà a migliorare: sceglierà. Sceglierà quale prodotto far vedere, quando, a chi, a quale prezzo. Sceglierà i contenuti più adatti, anticiperà la domanda, modulerà lo sconto, controllerà la redditività. Diventerà una parte del carrello, non un algoritmo sullo sfondo.
Intanto, il commercio tornerà a muoversi oltre i confini. Le logistiche più integrate, i pagamenti unificati e la crescente capacità dei marketplace di operare su scala internazionale renderanno lo shopping transfrontaliero più semplice del domestico. Per molti brand europei, una quota significativa della crescita non arriverà dal mercato interno, ma da nuovi clienti esteri che acquistano con un clic, senza percepire la distanza.
E mentre il mercato si allarga, i valori diventano più selettivi: la sostenibilità smetterà di essere un messaggio e diventerà una metrica di scelta. I giovani consumatori non guarderanno solo al packaging, ma all’impronta complessiva del prodotto: materiali, logistica, resi, durata. Il costo ambientale diventerà una variabile di conversione, non un tema reputazionale.
Questa nuova razionalità influenzerà anche il modo di fidelizzare. La customer experience non sarà più un insieme di accorgimenti, ma il primo fattore competitivo. Non basterà offrire un buon prodotto: servirà un percorso chiaro, veloce, prevedibile, senza attriti. Una scheda prodotto precisa, un checkout rapido, un tracking affidabile varranno più di uno sconto; saranno percepiti come qualità intrinseca del brand.
Infine l’automazione, che fino a oggi è stata vista come un acceleratore, diventerà un requisito minimo. Non servirà più per crescere, ma per non crollare. La complessità del multicanale, dei picchi, delle promozioni, delle integrazioni richiederà processi capaci di funzionare da soli. La reputazione di un e-commerce si misurerà sempre più nella capacità di reggere la pressione, non solo nelle settimane di alto traffico, ma ogni giorno dell’anno.
Il 2026, in questo senso, non sarà un altro capitolo della crescita dell’e-commerce: sarà una riscrittura delle sue regole. Non cambierà la quantità delle vendite, ma la qualità dell’intero sistema.
di Marco Agostini, CEO di Poleepo





























































