La Direttiva MiFID II nasce con l’obiettivo di definire uno standard virtuoso nella comunicazione dei costi degli investimenti per aiutare il risparmiatore a prendere decisioni di investimento consapevoli

Direttiva MiFID II e trasparenza: Italia ancora indietro

Una recente ricerca School of Management del Politecnico di Milano – Moneyfarm ha analizzato la qualità delle informative ex post a consuntivo dell’anno 2018, inviate da 18 tra i principali intermediari finanziari a milioni di investitori retail italiani. Si tratta dei rendiconti annuali su costi e oneri sostenuti effettivamente sui loro investimenti che, quest’anno per la prima volta, la direttiva MiFID II ha imposto all’industria.

La Direttiva MiFID II, applicabile nell’Unione Europea dal 3 gennaio 2018, nasce con l’obiettivo di definire uno standard virtuoso nella comunicazione dei costi degli investimenti per aiutare il risparmiatore a prendere decisioni di investimento consapevoli.

  • I risultati evidenziano che l’industria del risparmio italiano ha ancora molta strada da fare per quanto riguarda la trasparenza nei confronti degli investitori finali
  • Moneyfarm auspica che questa ricerca possa diventare un utile punto di riferimento che incoraggi comportamenti virtuosi di trasparenza e indipendenza come benchmark per tutti gli intermediari e strumento di valutazione per i clienti.

Di alcune delle principali evidenze.

    • È importante continuare a perseguire lo scopo ultimo della Direttiva Europea: mettere gli investitori nelle condizioni di compiere scelte consapevoli, facendo emergere le condotte più trasparenti degli intermediari
    • In particolare, alcune interessanti evidenze emerse della ricerca sono:
      • La maggior parte degli intermediari non è riuscita a recepire in toto le indicazioni di ESMA e delle associazioni di categoria; molti documenti risultano ancora poco chiari e leggibili
      • Nessun intermediario si è distinto per tempestività nell’invio dell’informativa ai propri clienti, nonostante la raccomandazione di ESMA fosse quella di provvedere “il prima possibile”
      • Solo il 28% dei documenti riporta informazioni focalizzate esclusivamente sui costi, come prescritto dalla normativa; nel 72% dei casi le informazioni sono diluite in rendiconti più lunghi (in media di circa 15 pagine)
      • Solo il 44% dei rendiconti contiene la parola “costi” o “oneri” nell’intestazione; il 56% di questi non è stato quindi chiamato con il proprio nome

Il 94% degli intermediari utilizza termini di non immediata comprensione (come “inducements” o “incentivi”) per comunicare i “pagamenti ricevuti da terze parti”

La ricerca integrale è disponibile a questo link.