Soft Skills “sulla carta” che poi non si sanno mettere in pratica: è questa l’essenza dell’analfabetismo relazionale che aleggia all’interno delle aziende

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C’è un nuovo analfabetismo che attraversa il mercato del lavoro: l’analfabetismo relazionale. È un fenomeno silenzioso e trasversale che riguarda tutti, dal neoassunto al top manager. Molti professionisti dichiarano di possedere soft skills come empatia, comunicazione efficace o gestione dello stress, ma faticano a tradurle in comportamenti concreti nella vita lavorativa. Una discrepanza che si riflette in conflitti non gestiti, team frammentati e calo della motivazione.

Secondo una stima rilevata da PA360 Training on skills, a mancare non sono tanto le soft skills “sulla carta”, quanto la capacità di esercitarle nel quotidiano. Il problema non risparmia nessuno: molti manager non sono mai stati formati per gestire relazioni e persone e riproducono inconsapevolmente modelli di leadership rigidi, datati e poco sani. Il risultato è una catena che amplifica il disagio: dipendenti che si sentono inascoltati e leader incapaci di leggere il clima emotivo dei propri team.

È dall’analfabetismo relazionale che nasce quello che viene definito “Effetto LinkedIn”: la distanza tra le soft skills dichiarate nei curriculum e la realtà dei comportamenti quotidiani. Un effetto che si alimenta di buone intenzioni e di poca consapevolezza, in cui la comunicazione è sostituita dalla forma e la relazione diventa solo una parola chiave.

Uno sguardo internazionale

A livello globale uno studio su leadership e produttività conferma il legame diretto tra competenze relazionali e risultati aziendali. Le imprese che investono in comunicazione interna e intelligenza emotiva migliorano la performance fino al 20% e riducono sensibilmente il turnover. La mancanza di queste abilità, al contrario, è oggi una delle prime cause di fallimento manageriale e di perdita di engagement nei team.

In un mondo dove la collaborazione è un requisito strategico, l’analfabetismo relazionale è diventato un rischio concreto per la competitività.

Il quadro italiano

Nel tessuto produttivo italiano, composto per oltre il 90% da micro e piccole imprese, la qualità delle relazioni pesa più delle procedure. I dati mostrano che solo il 25% delle aziende prevede percorsi di sviluppo per le competenze socio-emotive e meno di un terzo dei manager misura il clima interno in modo sistematico, numeri confermati anche da PA360.

Molte organizzazioni, pur riconoscendo l’importanza della comunicazione e del benessere, non dispongono di strumenti per svilupparli. Quando il capo non ascolta o non dà feedback, il team si irrigidisce. E se il dipendente non trova un ambiente relazionale sano si disconnette o se ne va.

La Generazione Z e il potere della trasparenza

Per la Generazione Z la coerenza tra immagine e realtà è imprescindibile. Secondo quanto emerge da un recente sondaggio, la qualità delle relazioni con il proprio manager e la cultura aziendale sono oggi tra i criteri decisivi che spingono i giovani a restare o cambiare lavoro. Rispetto al passato oggi questa percezione è pubblica: piattaforme, community e social network rendono immediatamente visibile se un ambiente è tossico o inclusivo. Un manager che comunica male non perde solo persone, ma credibilità esterna.

Ecco perché la leadership del futuro non può prescindere dalla competenza relazionale: chi guida deve saper ascoltare, leggere le emozioni e dare esempio di equilibrio.

Come invertire l’Effetto LinkedIn conseguente all’analfabetismo relazionale

Non mancano solo le competenze, ma anche strumenti e momenti per allenarle,” spiega Michele Petrone, Founder & CEO di PA360 Training on skills.Serve una nuova cultura della relazione: insegnare a parlare, ascoltare e dare feedback con la stessa attenzione con cui si insegna a usare un software.

Per fare davvero la differenza come manager e abbattere l’analfabetismo relazionale, può essere utile rompere la routine dei feedback: invece della classica riunione mensile, provate a privilegiare conversazioni brevi e spontanee. Sono momenti più immediati e spesso più efficaci, perché permettono di cogliere le cose sul nascere.

Un altro accorgimento importante è praticare l’ascolto vero. Durante le call, spegnete il multitasking e guardate davvero chi parla: il semplice gesto di prestare attenzione cambia completamente la qualità della comunicazione.

Riconoscere i meriti in pubblico e correggere in privato è un altro principio che fa la differenza. Un elogio sincero davanti agli altri vale più di qualsiasi valutazione scritta, mentre una correzione privata evita imbarazzi e mantiene la fiducia.

Mostrare vulnerabilità non è un segno di debolezza, anzi: ammettere un errore o raccontare una difficoltà crea un senso di fiducia e umanità nel gruppo.

Infine, è fondamentale creare spazi di decompressione. Momenti informali, anche digitali, permettono di condividere idee, dubbi o piccoli disagi senza la pressione delle gerarchie, favorendo la creatività e la coesione del team.

Ripartire dalla formazione e dalla certificazione delle competenze

La formazione rappresenta oggi la via più concreta per abbattere l’analfabetismo relazionale. Parlare di soft skills non basta: serve creare percorsi che aiutino le persone a metterle in pratica, a partire dai gesti quotidiani.

In questa direzione opera PA360 Training on skills, HR digital academy con focus sulle competenze trasversali.

Attraverso oltre 250 corsi asincroni e strumenti di apprendimento online PA360 supporta aziende, enti pubblici, università e istituzioni scolastiche nello sviluppo di abilità cognitive, relazionali ed emotive. La certificazione delle competenze dei moduli formativi, strutturati in 6 aree, 28 competenze trasversali, 3 livelli di apprendimento e disponibili in 8 lingue, viene attestata da open e competence badge con tecnologia blockchain, e la reportistica avanzata consente di monitorare i progressi nel tempo.

L’obiettivo è rendere la formazione parte integrante della cultura organizzativa, promuovendo ambienti di lavoro più consapevoli e collaborativi.