
Oggi, aziende e Managed Service Provider (MSP) adottano sempre più architetture ibride per coniugare controllo, flessibilità e scalabilità. Mantenere dati sensibili e applicazioni critiche on-premises, sfruttando al contempo la convenienza del cloud, consente di ridurre i costi, garantire conformità e continuità operativa. La gestione di ambienti distribuiti introduce però una complessità che molte soluzioni di disaster recovery tradizionali non riescono a gestire, esponendo le organizzazioni a rischi significativi. Con minacce sempre più rapide e sofisticate (qui potete scaricare un report dettagliato), e processi di ripristino spesso manuali e inefficaci, un approccio di disaster recovery ibrido è oggi indispensabile per ridurre il downtime e prevenire perdite di dati o sanzioni.
Non dimentichiamoci inoltre che il disaster recovery rappresenta un elemento centrale per la conformità alla Direttiva NIS2 in Italia, poiché assicura la continuità operativa e la resilienza dei sistemi informativi in caso di incidenti o attacchi informatici. La normativa, recepita con il Decreto Legislativo n. 138 del 4 settembre 2024, impone alle organizzazioni che operano in settori essenziali e importanti di adottare misure concrete per prevenire, gestire e ripristinare i servizi critici. In questo contesto, il disaster recovery non è soltanto una best practice tecnologica, ma un obbligo normativo che riduce i tempi di inattività, protegge dati e infrastrutture e rafforza la capacità di risposta agli incidenti.
Perché il disaster recovery tradizionale non è più sufficiente
Le soluzioni tradizionali di disaster recovery, nate per ambienti esclusivamente on-premises, non rispondono alle esigenze attuali. Richiedono investimenti in hardware, tempi di ripristino lunghi e mancano della flessibilità necessaria per gestire workload distribuiti. Una sola copia dei dati non è sufficiente perché eventi imprevisti come incendi o alluvioni possono compromettere in modo definitivo le informazioni critiche. L’assenza di automazione e di integrazione nativa con il cloud genera lacune nella protezione e complica il raggiungimento di obiettivi di Recovery Point Objective (RPO) e Recovery Time Objective (RTO). La frammentazione degli strumenti – backup, disaster recovery e sicurezza gestiti in silos – aumenta costi e vulnerabilità, mentre i processi di failover manuali e la mancanza di protezione dal ransomware durante il ripristino espongono a rischi ulteriori.
I vantaggi del disaster recovery ibrido
Un approccio ibrido consente di unire i punti di forza degli ambienti locali e del cloud, garantendo flessibilità e rapidità di risposta. Se correttamente implementato, permette di:
- ridurre i tempi di inattività grazie al failover automatico e orchestrato;
- migliorare RPO e RTO, limitando perdita di dati e downtime;
- integrare sicurezza e analisi anti-malware nel processo di ripristino;
- estendere la protezione a workload fisici, virtuali e cloud;
- bilanciare prestazioni e costi attraverso modelli di storage ibrido.
Fondamentale è anche l’applicazione della regola 3-2-1 del backup: tre copie dei dati su due supporti diversi, di cui una off-site, per garantire recupero e resilienza anche in caso di eventi catastrofici.
Componenti fondamentali di una strategia ibrida
- Orchestrazione automatizzata del failover. Riduce i tempi di inattività attivando automaticamente le procedure di ripristino quando si verifica un problema, recuperando le applicazioni business-critical nell’ordine corretto e riducendo al minimo l’errore umano.
- Opzioni di ripristino flessibili. Non tutti i workload richiedono lo stesso ripristino: alcune applicazioni devono tornare operative in pochi minuti nel cloud, altre possono essere recuperate gradualmente su infrastrutture fisiche. Funzionalità come instant restore e incremental failback consentono di scegliere l’opzione più adatta, garantendo tempi ottimali e continuità dei sistemi.
- Sicurezza e compliance. Backup immutabili e crittografia dei dati in transito e a riposo proteggono le informazioni sensibili. Scansioni antimalware sui punti di ripristino evitano la reinfezione dei sistemi.
- Networking e connettività. Ambienti distribuiti richiedono connettività sicura e archiviazione geo-ridondante per garantire accessibilità continua ai dati anche in caso di interruzioni locali.
- Test e monitoraggio degli SLA. Il testing periodico verifica l’efficacia dei piani di ripristino e la coerenza con gli obiettivi di RPO e RTO, fornendo report utili per audit e conformità.
- Backup application-aware. Per workload critici — come database SQL, Exchange o SAP HANA — è necessario garantire la coerenza dei dati durante il backup, per un ripristino completo e integro.
- Protezione continua dei dati. Per monitorare in tempo reale le applicazioni critiche, registrando ogni modifica per evitare perdite tra un backup e l’altro.
Sviluppare una strategia di disaster recovery nel cloud ibrido
La definizione di un piano efficace inizia con l’individuazione dei sistemi e dei dataset critici per la continuità operativa. Dopo aver stabilito le priorità, occorre definire obiettivi di RPO e RTO realistici e modellare su di essi i processi di backup e ripristino.
Un piano di disaster recovery ibrido deve garantire un failover fluido tra infrastrutture on-premises e cloud pubblici o privati, mantenendo automazione, compatibilità con lo stack tecnologico esistente e scalabilità per gestire la crescita dei dati. Per garantire sicurezza e governance, l’ambiente deve integrare replica, crittografia e controllo accessi basato su ruoli, con una gestione centralizzata e una postura di sicurezza coerente tra le piattaforme. Infine, il piano va testato e aggiornato regolarmente, simulando scenari di disastro e verificando l’efficacia del failover. La formazione resta essenziale per assicurare reattività e coordinamento nei momenti critici.
Superare le sfide del cloud ibrido
Le organizzazioni devono affrontare sfide comuni come la gestione dei costi di archiviazione, la protezione dei dati sensibili e la coerenza delle configurazioni tra piattaforme. L’adozione di backup incrementali, crittografia end-to-end e automazione dei controlli di accesso consente di ridurre i rischi e il downtime. Una strategia ben calibrata deve concentrarsi su due obiettivi fondamentali: mantenere la disponibilità dei sistemi e proteggere i dati da violazioni o perdite. In altre parole, la resilienza operativa dipende dalla capacità dell’organizzazione di integrare tecnologia, processi e competenze.
Il futuro del disaster recovery nel cloud ibrido
Il disaster recovery ibrido sta evolvendo verso modelli più intelligenti e automatizzati. Machine learning e automazione analizzeranno in tempo reale gli ambienti IT, individuando anomalie e avviando autonomamente le procedure di ripristino, con tempi di risposta sempre più rapidi. Le soluzioni di nuova generazione integreranno sicurezza avanzata, crittografia evoluta e rilevamento delle minacce durante il restore, semplificando la gestione e riducendo i costi di archiviazione. Le organizzazioni che adotteranno queste innovazioni godranno di maggiore resilienza e stabilità.
La risposta di Acronis
Acronis Cyber Protect Cloud è una piattaforma che riunisce in un’unica interfaccia backup, disaster recovery, cybersecurity e gestione centralizzata, offrendo un approccio completo alla protezione dei dati. Basata su Acronis Cyber Infrastructure, consente ai provider di offrire DRaaS (Disaster Recovery as a Service) e alle aziende di gestire con semplicità ambienti ibridi. La piattaforma integra funzionalità di failover automatico, backup immutabili, protezione continua dei dati e scansione antimalware durante il ripristino, garantendo coerenza tra sicurezza e continuità operativa. Inoltre, consente backup completi, incrementali o differenziali a livello di file, immagine o applicazione, adattandosi a ogni esigenza di workload.
Di Denis Cassinerio, Senior Director & General Manager South EMEA di Acronis





















































