Oltre 1 lavoratore italiano su 5 vede nella mancanza di opportunità di crescita il principale freno alla carriera

risorse umane - dipendenti - lavoratori - settore HR -professioni maggiormente richieste - la gestione dello staff
La mancanza di opportunità di crescita professionale è l’ostacolo più comunemente citato all’avanzamento di carriera non solo in Italia ma anche a livello globale, secondo il sesto capitolo della serie di rapporti People at Work 2025” di ADP Research, che ha intervistato quasi 38.000 lavoratori in 34 mercati, di cui 1.117 in Italia.

Il 23% dei lavoratori italiani ha identificato la mancanza di opportunità di crescita professionale come il principale ostacolo al proprio avanzamento di carriera. Si tratta del dato più alto in Europa, dove il valore si ferma al 17%. Le donne (25%) sono più propense degli uomini (22%) a esprimere questo sentimento mentre altri ostacoli citati sono la mancanza di motivazione personale (11%), la mancanza di tempo (11%) e l’assenza di un sostenitore (10%). Tra le motivazioni meno citate ci sono la paura (5%) la mancanza di fiducia (5%) e la mancanza di esperienza (4%) suggerendo che motivazione e visibilità sulle opportunità pesano più dei gap di competenze come barriere alla crescita. Solo il 9% dei lavoratori italiani riferisce di essere soddisfatto del proprio lavoro e di non voler cambiare, si tratta di uno dei valori più bassi in assoluto mentre il valore medio in Europa è pari al 16%.

“La forza lavoro di oggi sa cosa significa crescere – che si tratti di assumere ruoli di leadership, accettare nuove responsabilità o sviluppare nuove competenze. Tuttavia, quando il percorso da seguire non è chiaro, anche i lavoratori più motivati possono perdere slancio. I datori di lavoro devono trasformare le aspirazioni di carriera in opportunità concrete e visibili.” ha dichiarato Elena Falconi, HR Director Southern Europe ADP.

Secondo l’indagine dell’ADP Research il mancato avanzamento di carriera sembra essere un fattore determinante nella ricerca di un nuovo lavoro. Il 13% dei lavoratori italiani ritiene che cambiare azienda sia essenziale per la propria crescita professionale, si tratta della quarta percentuale più alta in Europa. A livello globale, il 15% dei lavoratori ritiene che cambiare azienda sia essenziale per la propria crescita professionale e tra i lavoratori che percepiscono poche opportunità di crescita nel proprio impiego attuale, oltre un terzo (34%) sta attivamente cercando o sostenendo colloqui per un nuovo lavoro. Inoltre, coloro che ritengono con forza di dover cambiare datore di lavoro per fare progressi hanno una probabilità 2,6 volte inferiore di considerarsi altamente produttivi.

Cosa rende i lavoratori fedeli all’azienda?

Tra i lavoratori italiani che affermano di vedere un futuro con il proprio attuale datore di lavoro, i motivi principali sono la flessibilità negli orari di lavoro (38%), l’opportunità di avanzamento di carriera (23%) e la formazione professionale e sviluppo delle competenze (22%).

“L’impatto della scarsa visibilità delle opportunità di carriera sul posto di lavoro non si limita al disimpegno dei dipendenti – si traduce anche in perdita di produttività, minore innovazione e aumento del turnover,” ha dichiarato Nela Richardson, Chief Economist di ADP. “Le organizzazioni che progettano percorsi di carriera chiari ed equi non solo trattengono i talenti – ma aumentano anche la loro capacità di liberare il pieno potenziale produttivo dei dipendenti.”

Altre tendenze a livello globale

La percezione degli ostacoli alla carriera varia in base all’età. A livello globale, oltre il 20% dei lavoratori di età pari o superiore ai 40 anni dichiara che la mancanza di opportunità rappresenta il principale ostacolo alla propria crescita professionale, rispetto al 14% dei lavoratori con età pari o inferiore ai 26 anni.

I dati mostrano inoltre differenze in base al livello lavorativo. Circa il 16% dei dirigenti e manager di alto livello ha indicato la mancanza di opportunità come ostacolo all’avanzamento di carriera. Questa percentuale sale al 18% tra i manager intermedi e di prima linea, e al 20% tra i collaboratori individuali.