Se all’inizio veniva aggiornato solo nel momento in cui si cercava una nuova occupazione, oggi la stessa si è trasformata in un vero e proprio spazio di costruzione continua dell’identità professionale.

LinkedIn

Negli ultimi anni LinkedIn – la piattaforma di networking professionale fondata da Reid Hoffman nel 2002 e lanciata ufficialmente nel 2003 – è passata dall’essere uno strumento per pochi addetti ai lavori a un vero e proprio pilastro del mercato del lavoro. L’obiettivo originario, ovvero creare uno spazio digitale in cui domanda e offerta potessero incontrarsi, si è progressivamente ampliato, trasformando LinkedIn in un ambiente virtuale in cui si costruiscono relazioni professionali, si condividono competenze e si promuovono intere carriere.

I dati relativi alla diffusione del social network sono inequivocabili. A livello globale, la piattaforma conta oggi oltre 1,1 miliardi di iscritti[1]In Italia, secondo le stime pubblicate da DataReportal[2] all’inizio del 2024, si registravano circa 20 milioni di membri, pari a circa il 34% della popolazione totale e il 40% della popolazione adulta. L’audience potenziale è aumentata di circa 3 milioni di persone (+17,6%) tra il 2023 e il 2024 e di circa 1 milione (+5,3%) nel solo trimestre tra ottobre e gennaio.

Dati che indicano non solo un utilizzo diffuso, ma una presenza strutturale della piattaforma in quasi tutti i segmenti del mercato del lavoro. Tutto ciò nonostante persistano tendenze negative dal punto di vista economico e geopolitico le quali, pur impattando sui tassi di assunzioni globali, non mettono in discussione la centralità della piattaforma, ad esempio, nell’internal mobility dei dipendenti. Stando ai dati, la progressione di carriera è aumentata del 6% nell’ultimo anno, indicando come le organizzazioni utilizzino sempre più LinkedIn anche per promuovere talenti già presenti al loro interno[3].

Nel contesto odierno, il ruolo sociale di LinkedIn è radicalmente cambiato. Di pari passo con l’evoluzione del digitale – e, più recentemente, con l’introduzione dell’intelligenza artificiale generativa – la piattaforma si è perfezionata in favore di una maggiore personalizzazione ed efficienza. Se all’inizio veniva aggiornata solo nel momento in cui si cercava una nuova occupazione, oggi la stessa si è trasformata in un vero e proprio spazio di costruzione continua dell’identità professionale. Il profilo non rappresenta un mero archivio di esperienze lavorative, ma un racconto del proprio percorso formativo e dei network costruiti. Non soltanto quindi le esperienze professionali, ma le competenze – professionali ed umane – che sono state acquisite nel corso del tempo. Competenze che non si limitano a essere dichiarare nel proprio profilo, ma che vengono mostrate attraverso progetti condivisi, e riconoscimenti, in forma di recensioni, ricevuti all’interno della propria rete. Di conseguenza, la narrazione dell’esperienza professionale viene resa visibile al pubblico, e quindi ai recruiter, andando ad accrescere e consolidare il livello di credibilità e autorevolezza dell’utente. Questo orientamento skills-first viene ribadito dagli stessi recruiter. Difatti, il 93% dei professionisti talent acquisition crede che valutare con precisione le competenze di un candidato sia essenziale per migliorare la qualità dell’assunzione[4].

In questo senso, tra le funzioni che la piattaforma ha radicalmente cambiato, emerge quella del lavoro quotidiano delle cosiddette risorse umane. Il recruiter non è più soltanto colui che valuta candidati, ma diventa un vero e proprio talent advisor. Allo stesso modo, cresce l’importanza dell’employer branding, in quanto la capacità di attrarre professionisti dipende sempre più dalla digital reputation dell’organizzazione, ovvero dall’insieme dei suoi valori e dalla qualità delle interazioni che riesce a generare sulla piattaforma.

Insomma, laddove in passato la selezione avveniva principalmente tramite candidature spontanee o consultando banche dati interne, oggi il processo è invertito, sempre più orientato alla ricerca attiva dei profili. A tal proposito, le figure HR utilizzano le innumerevoli potenzialità della piattaforma – alimentata da sofisticati algoritmi – non solo per individuare candidati, ma anche per comprendere l’evoluzione dei loro percorsi, la qualità delle connessioni instaurate e la reputazione professionale digitale. Questo salto organizzativo, da un modello di recruiting passivo a uno proattivo, strettamente legato alla capacità di innovazione delle organizzazioni, ha inciso inevitabilmente sul modello di business. Strumenti come LinkedIn Recruiter[5] e Talent Insights[6] consentono alle aziende di analizzare la disponibilità delle competenze nei diversi mercati, monitorare la competitività dei ruoli e identificare tendenze emergenti.

Particolarmente significativo, inoltre, per il futuro dei TA la questione dell’intelligenza artificiale generativa. Gli algoritmi di large language model stanno accelerando l’automazione dei compiti e permettono ai recruiter di concentrarsi su attività più strategiche, sebbene sussistano preoccupazioni – che l’Unione Europea ha cercato di affrontare con l’AI Act[7] – relative alla privacy dei dati e al budget.

Secondo quanto riporta il rapporto Future of Recruiting 2025[8] stilato da LinkedIn, il 73% dei recruiter concorda sul fatto che l’AI cambierà in modo significativo il modo in cui le organizzazioni assumono. Impiegata dal 37% delle organizzazioni che ora la sta attivamente integrando o sperimentando (in aumento rispetto al 27% del 2024), l’efficienza rappresenta il vantaggio principale, quantificabile in circa il 20% del tempo di lavoro settimanale risparmiato. L’integrazione dell’AI è percepita quindi come un catalizzatore della trasformazione, un mezzo potente per migliorare i risultati, in particolare per quanto riguarda la valutazione dei candidati. A sostegno di questa tesi, l’89% dei professionisti TA concorda sulla sua crescente importanza della quality of hire. Sebbene solo il 25% si senta molto fiducioso nella capacità della propria organizzazione di misurare efficacemente la qualità delle assunzioni, il 61% crede che l’IA possa migliorare tale misurazione[9].

Tuttavia, nonostante le evidenti innovazioni proposte, la piattaforma porta con sé anche alcune sfide. La crescente uniformità dei profili corre il rischio di generare una sorta di omologazione narrativa, mentre l’uso degli algoritmi rischia di amplificare bias che privilegiano candidati già visibili o inseriti in reti consolidate, con possibili conseguenze sulla diversità e sull’accesso equo alle opportunità.

È proprio per queste motivazioni che si insiste sulla necessità di adottare metodi di valutazione strutturati e basati su evidenze – come, ad esempio, colloqui standardizzati e analisi dei dati di performance – per distinguere tra autenticità e semplice presenza digitale. Di conseguenza, all’interno di questo scenario, il ruolo dei professionisti HR si fa sempre più complesso, non consistendo più soltanto nel valutare esperienze e competenze tecniche, ma nell’interpretare la presenza digitale dei candidati, distinguendo tra visibilità e valore reale.

LinkedIn ha spostato il baricentro dall’incontro tra domanda e offerta alla costruzione continua dell’identità professionale. Per i professionisti delle risorse umane ciò si traduce in un ruolo ancora più strategico, orientato ai dati e alla valorizzazione delle competenze. Per gli utenti, invece, significa imparare a raccontarsi e rendere visibile il proprio valore.

A firma di Gianni Adamoli, Presidente del Consiglio di Amministrazione di Execus