Perché interoperabilità, dati e intelligenza artificiale sono ormai inseparabili

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Il settore dell’ad tech è notoriamente frammentato: migliaia di player operano con tecnologie, dataset e modelli di business propri. Questa frammentazione rappresenta uno dei principali ostacoli che impediscono all’open web di offrire prestazioni fluide e integrate come quelle dei cosiddetti walled gardens.

In questo contesto, cresce il numero di attori che invocano una maggiore interoperabilità. Non si tratta di capire se sia possibile (lo è), ma di definire in che forma e con quale rapidità l’industria potrà convergere verso un modello comune.

Le recenti collaborazioni dimostrano che la cooperazione può generare più valore della competizione: Amazon ha stretto partnership con Roku e Netflix, mentre Google ha collaborato con Criteo, segnali evidenti che anche i colossi dei media sono pronti ad abbattere i silos per trarne benefici reciproci.

Consolidamento: apertura o nuove barriere?
La pubblicità sull’open web, così come l’intero ecosistema dei media, sta vivendo una fase di consolidamento, spinta da condizioni economiche che favoriscono acquisizioni e impongono un controllo più rigoroso dei costi.

Il consolidamento può aiutare l’interoperabilità, riducendo i passaggi tra domanda e offerta e limitando l’intervento di terze parti. È il caso delle SSP che introducono piattaforme di acquisto o delle DSP che cercano un accesso diretto all’inventory, con l’obiettivo di creare una filiera più snella ed efficiente.
Questo porterà a una frammentazione dell’open web in mini walled gardens? Probabilmente no. A differenza dei giganti chiusi, l’open web non avrà mai un singolo attore in grado di dominare l’intero ecosistema. Gli editori continueranno a cercare più canali di domanda, e gli inserzionisti più canali di offerta.

Questi percorsi potranno ridursi, ma dovranno restare compatibili: nessun player potrà dettare le regole del mercato. Per i protagonisti indipendenti dell’ad tech, l’interoperabilità non è un’opzione: è una questione di sopravvivenza.

Perché l’interoperabilità è più complessa del previsto

Realizzare l’interoperabilità non è semplice, e spesso i tentativi di ridurre la frammentazione introducono nuove inefficienze. Un esempio sono gli Alternative ID: nati per unificare l’ecosistema, in pratica hanno aggiunto livelli di complessità, costi e lentezze. Queste spese extra possono rendere l’accesso ai dati di prima parte troppo oneroso e frenare iniziative collettive.

Un’altra via è la curation lato offerta, che permette agli editori di valorizzare i propri dati di prima parte. Attraverso deal curati direttamente, gli editori mantengono il controllo sull’inventory e offrono agli inserzionisti valore aggiunto. Tuttavia, resta aperto il dibattito su chi effettivamente cattura quel valore e quanto ne rimane all’origine, dopo le varie commissioni.

L’intelligenza artificiale richiede interoperabilità — e può renderla possibile

L’AI amplifica la necessità di interoperabilità, ma offre anche strumenti per raggiungerla. Da un lato, consente di superare la frammentazione — ad esempio con meta DSP in grado di collegare più piattaforme di acquisto. Dall’altro, accentua le barriere esistenti, come la mancanza di tassonomie comuni o la scarsa qualità dei dati, che ostacolano l’automazione su larga scala.

Molte sfide legate all’interoperabilità derivano proprio dalla gestione dei dati. Qui l’AI può fungere da traduttore, armonizzando dataset differenti in tassonomie comuni e trasformando segmenti di pubblico frammentati in audience scalabili sull’intero open web.

Dall’hype all’implementazione dell’AI agentica

Oggi la cosiddetta agentic AI opera principalmente in sistemi chiusi o tramite API esistenti, piuttosto che attraverso comunicazioni autonome tra agenti. Le aziende costruiscono agenti interni per ottimizzare i propri processi — ad esempio, una DSP che ottimizza le offerte o una SSP che migliora il rendimento — ma questi non dialogano direttamente con sistemi terzi.

Le interazioni cross-platform avvengono tramite API, concepite per richieste strutturate di dati, non per dialoghi autonomi e obiettivi tra agenti. Esistono precedenti di standard condivisi, come OpenRTB o OpenDirect, ma la loro realizzazione richiede anni di collaborazione tra più stakeholder. Iniziative emergenti come il Model Context Protocol (MCP) e A2A sono segnali promettenti, ma un protocollo ampiamente adottato per l’AI agentica — basato su fiducia, governance e trasparenza — è ancora un obiettivo di lungo periodo. Nel frattempo, l’interoperabilità continuerà a essere il terreno su cui si giocherà la prossima evoluzione dell’open web.

Chi saprà trasformare la complessità in vantaggio competitivo guiderà il futuro della pubblicità online — non controllando la maggior quantità di dati, ma connettendo in modo più efficace l’intero ecosistema.  Solo rendendo l’interoperabilità lo standard, l’open web potrà esprimere tutto il suo potenziale e competere finalmente ad armi pari con i walled gardens.

Analisi di Francesca Lerario, Managing Director Southern Europe di Ogury