Mitsubishi delinea le tendenze tecnologiche per il nuovo anno si focalizza sul Piano Industria 4.0 e sull’importanza della formazione

Gianmichele Piciocco, Mitsubishi Electric
Gianmichele Piciocco, Mitsubishi Electric

Gianmichele Piciocco, Marketing Manager South EMEA Mitsubishi Electric Factory Automation, dall’alto del suo osservatorio privilegiato, fa un viaggio nel 2020 che ci aspetta delineando tendenze tecnologiche e focalizzandosi sul Piano Industria 4.0 e sull’importanza della formazione.

Quali saranno i settori merceologici trainanti nel 2020?

“Dal riscontro che riceviamo da parte delle associazioni di mercato, i settori trainanti nel 2020 saranno quelli della cosmetica, del food&beverage, dell’elettronica di consumo, del farmaceutico e medicale, inclusa tutta la filiera coinvolta da questi settori produttivi. Presumibilmente si registrerà anche una ripresa del settore automotive. Più in generale, a trainare il mercato saranno i comparti del CPG (Consumer Packaged Goods) e del Fast-Moving Consumer Goods (FMCG), che include tutti i prodotti ad alta rotazione vicini al consumatore finale: dal sapone per le mani al convertitore per lo smartphone, fino agli oggetti di cartolibreria. Stiamo andando nella direzione di un mercato che è compresso verso il B2C: i settori B2B trainanti saranno, quindi, quelli proporzionalmente più vicini al consumatore finale”.

Quali tecnologie registreranno le più interessanti novità?

“Le novità più interessanti saranno quelle legate alla generazione di algoritmi per la gestione dei dati, perché è questo il trend verso cui sta andando il mercato tecnologico. Si darà per scontato che gli azionamenti saranno più veloci, che gli inverter miglioreranno la produzione di un motore, ma il driver sarà la gestione degli algoritmi, più integrati possibile con l’intelligenza artificiale. Ci sarà, inoltre, uno spostamento fortissimo dell’attenzione sull’energy management: motori ad alta efficienza, inverter per motori brushless, PLC che processano meglio i dati e quindi una maggiore integrazione con i sistemi di controllo”.

La proroga del Piano Industria 4.0 continuerà ad avere un effetto positivo sul mercato o l’effetto si è ormai esaurito?

“Sicuramente continuerà ad avere un effetto positivo, fondamentalmente legato al ritorno economico che le aziende potranno ottenere grazie agli incentivi legati al Piano Industria 4.0. Inizialmente, purtroppo, questi incentivi non sono stati sempre ben sfruttati, perché non è stato compreso pienamente il valore del Piano Industria 4.0, legato ai concetti di ammodernamento e di evoluzione, con l’obiettivo di rimodernare il sistema di produzione del Paese. Ora che finalmente le aziende cominciano a comprendere il valore di questi incentivi, la proroga al Piano Industria 4.0 è sicuramente un provvedimento utile che avrà ripercussioni positive sul mercato italiano”.

Per sfruttare le nuove tecnologie serve formazione, le aziende italiane investono a sufficienza in questo ambito?

“Purtroppo le aziende italiane non investono a sufficienza nella formazione, che invece è un fattore essenziale per mantenere competitività. I periodi di riflessione del mercato, come quello attuale, dovrebbero essere l’occasione per le aziende per ragionare su uno step evolutivo di produzione e industrializzazione, che richiede prima di tutto investimenti in formazione e crescita professionale di chi lavora. Non mi riferisco solo alla formazione tecnica, che è certamente necessaria ma non sufficiente. La formazione deve diventare cultura aziendale. Poiché il mercato è in continuo cambiamento, la cultura dell’azienda deve seguire questa evoluzione: ciò significa non solo fare formazione per i propri tecnici, ma anche formare i manager per metterli nelle condizioni di intuire e sviluppare progetti nuovi e sfidanti. Quando il mercato vive un momento positivo, di contro, le aziende sono concentrate a pieno ritmo sulle attività produttive, spesso a discapito proprio della formazione. Quello che servirebbe è un vero e proprio cambio culturale all’interno delle aziende, che permetta di comprendere davvero l’importanza della formazione. Nelle grandi multinazionali si tratta di un concetto ormai acquisito, ma il tessuto produttivo italiano è rappresentato soprattutto da piccole aziende, che purtroppo hanno ancora poca disponibilità a investire in attività di formazione”.