Quando l’IoT diventa un’arma

A cura di Marco Gioanola, Cloud Services Architect di Arbor Networks

Il 2016 sembra essere stato l’anno delle botnet IoT. Al momento, si stima che ci siano in circolazione tra i 6 e i 12 miliardi di dispositivi IoT e questo numero è destinato a superare i 20 miliardi entro il 2020.

I dispositivi IoT, per loro natura, devono essere di facile utilizzo e questa caratterista purtroppo si traduce spesso in scarsa considerazione in termini di sicurezza. Fondamentalmente, i dispositivi IoT sono piccoli computer che in alcuni casi sono connessi direttamente a Internet senza firewall. Quanti di noi collegherebbero il proprio portatile a Internet senza alcun tipo di protezione o senza patch installate sul sistema operativo? Non molti, ma chissà perché non si fa lo stesso discorso con i dispositivi IoT.

Il numero dei dispositivi IoT in circolazione rende questi apparati l’obiettivo ideale di aggressori che cercano di creare botnet. Le botnet IoT non sono una novità, le conosciamo da tempo, ma l’anno scorso abbiamo assistito a un netto incremento di compromissioni di dispositivi IoT da parte di malintenzionati da tutto il mondo. E sappiamo tutti cosa ne è conseguito; le botnet sono state usate come armi per lanciare attacchi DDoS su vasta scala.

Gli attacchi Distributed Denial of Service (DDoS) attentano alla disponibilità di servizi, applicazioni o aziende connessi a Internet. L’anno scorso le botnet IoT sono state responsabili di prolungati attacchi da 540 Gbit/s contro organizzazioni affiliate ad un evento sportivo internazionale tenutosi in Brasile (ad agosto), contro il giornalista Brian Krebs attraverso un attacco con picchi da 620 Gbit/s (a settembre) e ancora contro il prestigioso provider DNS Dyn (a novembre).

Gli attacchi DDoS di botnet IoT hanno contribuito alla forte crescita delle dimensioni, della frequenza e della complessità degli attacchi DDoS durante lo scorso anno. Secondo l’ultimo Worldwide Infrastructure Security Report  di Arbor Networks, i picchi di ogni attacco DDoS sono cresciuti esponenzialmente, con un tasso di crescita annuale del 68% sugli ultimi cinque anni.  Le dimensioni medie degli attacchi sono aumentate del 23% solo nel 2016 e dati tanto allarmanti hanno fatto crescere la consapevolezza delle aziende rispetto a tali minacce, basti pensare che il 66% delle imprese tiene in considerazione il rischio DDoS nei processi di gestione aziendali.

Anche se tutti i fornitori IoT improvvisamente decidessero di rafforzare i dispositivi e di implementare adeguate misure di sicurezza, molti dispositivi non verrebbero mai aggiornati. Per tale ragione, la prima cosa da fare – oggi – è impedire che i nostri dispositivi vengano sfruttati dagli aggressori.

Individui e aziende devono implementare le best practice, segmentando le reti e mettendo in atto le corrette limitazioni all’accesso in modo che i dispositivi IoT possano comunicare solo con servizi e utenti autorizzati.  Le password predefinite devono essere sempre modificate e gli aggiornamenti dei firmware vanno sempre installati, per rimuovere eventuali vulnerabilità.

Quanto detto assicurerà che i nostri dispositivi non siano il mezzo per sferrare un attacco, ma non basta: dobbiamo essere certi di avere a disposizione i servizi e le soluzioni in grado di proteggere la disponibilità della nostra connettività Internet dagli attacchi DDoS. Una protezione a livelli, che incorpora una componente situata sul perimetro della rete e servizi basati su cloud è una best-practice e può sconfiggere gli attacchi DDoS, mantenendo la connettività e la disponibilità del servizio e proteggendo la continuità del business aziendale.