Gli analytics abilitano la creazione di dati di valore, ma questi devono essere corretti e di qualità. I dati di per sé non sono un asset.

Più valore per le persone, più valore per il business. Questa è la sfida che le banche vogliono vincere mettendo al centro i dati. Omni-channel e omni-engagement, real-time e in tasca. Così cambia la banca grazie allo sviluppo di infrastrutture che mettono a fattore comune cloud, mobile, social e liberano la potenza degli analytics. Non solo. I nuovi adempimenti normativi previsti nel quadro europeo con pratiche di governance più forti e più trasparenti determinano un rafforzamento della capacità di: gestire ed avere a disposizione tutti i dati della Banca, elevare significativamente la loro qualità, aggiornarli con alta tempestività. A livello di sistema classificando la capacità delle banche di gestire bene il proprio patrimonio informativo secondo cluster molto simili a quelli della valutazione del rischio sulla concessione del credito.

Ritorno ai fondamentali. All’ABC: “Agile per rispondere al cambiamento. Bimodale per tenere insieme governance e operation. Centrata sul cliente, perché la fiducia e la trasparenza sono l’anima dell’economia dei dati”. Parola di Claudio Sguoto, Responsabile Servizio Data Governance di Intesa Sanpaolo, che spiega la sua visione sull’importanza degli analytics. Mobile banking, real-time banking, m-payments sono tutti ingredienti di una strategia che deve portare le banche a reingegnerizzare i processi per rendere più semplice l’esperienza dei clienti e più snella l’offerta dei servizi, aumentando nel contempo la sicurezza e abbattendo i rischi. Il successo si basa su quattro pilastri: governance, data quality, customer experience, e capacità di trarre valore dalla conoscenza della propria clientela. Al centro ci sono i dati e le storie che raccontano.

Qual è l’importanza degli analytics?

Gli analytics supportano il management nel prendere decisioni di business più adeguate ed efficaci. Stiamo parlando di coprire le esigenze normative, gestire meglio la propria esposizione al rischio ed essere quindi più preparati a prendere decisioni, reagendo rapidamente. Tutto ciò non è possibile senza un’adeguata democratizzazione degli analytics a livello aziendale.

Che cosa cambia?

La velocità di trasformazione è il fattore critico di cambiamento. Due sono le spinte: una normativa, l’altra di mercato. A fronte di una fase di difficoltà che ha investito tutto il settore finanziario, cambia il modo dell’utente di usufruire dei servizi bancari. C’è una complessità nella raccolta delle informazioni che già si configurano come trattamento dei dati e c’è una complessità nella gestione di questi dati che raccontano la storia dei clienti.

Come si misura il rischio?

Nell’attività di erogazione e gestione dei crediti, la componente rischio è la più problematica. L’attribuzione del rating non è più sufficiente. Lo sviluppo dei Big Data rende possibile eseguire correlazioni fra dati interni e informazioni provenienti da fonti esterne specializzate, per generare indicatori sintetici di qualità in logica predittiva. Tale possibilità andrà vagliata alla luce della normativa sul trattamento dei dati trovando nuove soluzioni di equilibrio tra la doverosa necessità di protezione dei dati della clientela e il vantaggio, sia per la banca che per il cliente, nella concessione di una migliore qualità del credito. Le regole tecniche da sole non bastano, ci vuole trasparenza dei comportamenti, qualità dei prodotti e dei servizi per fare un salto di responsabilità.

Qual è la priorità?

A fronte di un cliente sempre più connesso, mobile e social, diventa centrale per la banca la gestione della customer experience su tutti i canali digitali. Il miglioramento del rapporto con il cliente e la capacità di sviluppare forti e qualificate relazioni sono ai primi posti nelle priorità del top management bancario. Tutti i nuovi canali dovranno essere a supporto della filiale tradizionale e, a seconda dei casi, intervenire in modo appropriato in tutte le circostanze in cui sia richiesto il contatto face-to-face. Proprio tale moltitudine di punti di contatto rende estremamente importante e necessaria una visione unificata e flessibile del cliente.

Si fa presto a dire Big Data?

Lavorare sui Big Data non significa semplicemente raccolta e lettura in forma aggregata di enormi quantitativi di dati. A questo, si accompagna l’organizzazione di un sistema articolato di tecnologie, competenze e governance, che serve da un lato a certificare la validità dell’origine del dato e della sua manipolazione, dall’altro a estrarre in tempo reale il valore della conoscenza associata a quel dato.

Big Data o Big Info?

Non è solo una questione di velocità, dimensioni e varietà. Si tratta di valore. Come tutte le aziende in qualche modo stanno diventando aziende tecnologiche, perché senza ICT non possono competere sul mercato, allo stesso modo tante aziende, banche comprese, sono destinate a diventare data company o data driven company. Non basta quindi avere un “magazzino dei dati” e lasciare a chiunque le chiavi di accesso. Si tratta di rendere usabili i dati corretti nel momento in cui gli utilizzatori ne hanno bisogno. La raccolta dei dati, che è un tema tipico dell’IT, non basta più, bisogna capitalizzare la conoscenza dei dati.

Qual è il punto di partenza?

Si parte dal controllo e dalla qualità dei dati. In un contesto normativo molto complesso e regolamentato come quello bancario, gli ostacoli di natura tecnologica e analitica non rappresentano l’unica difficoltà. Gli analytics abilitano la creazione di dati di valore, ma questi devono essere corretti e di qualità. I dati di per sé non sono un asset. L’asset vero è riuscire a utilizzarli. Il tema della data quality in banca è un tema storico. La data quality in ottica Big Data invece è un tema scarsamente esplorato.

Che cosa raccontano i dati?

Dietro ai dati ci sono le storie di persone e imprese. Accedere alla conoscenza che sta dietro ai dati significa entrare in contatto con tante realtà diverse. Occorre evitare che le diverse funzioni della Banca costruiscano in autonomia proprie viste, spesso incoerenti tra di loro, su quelle realtà attribuendo, non di rado, gli stessi significati semantici a valori diversi.

Come si costruisce una strategia “data driven”?

Per costruire una strategia “data driven” bisogna abbattere le barriere funzionali. Ci deve essere una sola fonte dei dati, una sola “nuvola”, per rendere univoco il dato per ciascun utilizzatore. Si tratta di passare dalla preoccupazione di essere proprietari dei propri dati all’essere capaci di utilizzare al meglio tanti dati. La conoscenza ha valore solo se genera conoscenza, se è condivisa e se è alimentata da tutti gli stakeholder. Forse, il vero “data owner” dei dati è chi ne ha una profonda conoscenza, sa utilizzarli meglio degli altri e ne cura la data quality.

Qual è la lista delle cose da fare?

Organizzare la cabina di regia di tutto il processo dei data che va dal mondo business. Definire un piano di change management per accompagnare il cambiamento e diffondere una nuova cultura dei dati. Ridurre la replica dei dati perché porta con sé problemi di mantenimento della data quality e disperde il significato originale dei dati. Distribuire in sicurezza la conoscenza agli utilizzatori finali. Smontare la tipica architettura informativa a spaghetti, da molti punti a tanti punti, e permettere l’accesso a una fonte dati unica.

Come si vince la sfida dei dati?

La partita dei dati si gioca tutti insieme, mettendo a fattor comune le competenze e superando certe “gelosie” che poi diventano freno al cambiamento. Da un lato il data scientist, con un mix di competenze, capace di gestire, acquisire, organizzare ed elaborare dati. Dall’altro un owner o “papà” dei dati e infine una figura di regia del processo dei dati che va dal mondo business all’IT, capace di progettare e costruire nuovi modelli di organizzazione, utilizzo e usabilità dei dati. La portata di questa sfida impone non solo di utilizzare l’arsenale delle competenze tecniche, ma di attingere anche a quelle competenze “soft” in grado di creare un contesto umano favorevole al cambiamento.

La fiducia è la pietra angolare dell’economia dei dati?

Per mettere a frutto le informazioni, bisogna ave- re il consenso del cliente e per avere il permesso di usare i suoi dati, bisogna avere la fiducia dei clienti. La raccolta del consenso è vissuta come un adempimento fastidioso ma è il primo mattone su cui costruire quella relazione in grado di mettere in circolo le informazioni.

Che cosa significa essere data-centric?

La banca data-centric poggia le fondamenta sulla usabilità dei dati e sulla data quality ma utilizza gli analytics come una draga per smuovere il fondale dei repository, pescare i dati utili per essere utilizzati e visualizzati dai motori analitici e avere una fotografia dinamica della realtà in tempo reale. Essere data-centric significa agire sui dati attraverso gli strumenti analitici. Gli analytics creano valore non solo nell’ambito del business per costruire nuovi prodotti sempre più adatti alle esigenze dei clienti, ma anche in altri ambiti come la gestione del rischio e la prevenzione di comporta- menti fraudolenti che possono rappresentare un pericolo sia per la banca sia per la società.

Fonte: SAS