Secondo Bloomberg, è in atto “il più grande esperimento di telelavoro al mondo”

Lavoro distribuito: le tre sfide per la transizione

Nel 2019 erano 570mila i “lavoratori agili” in Italia: è quanto riporta uno studio condotto dall’Osservatorio smart working del Politecnico di Milano. Numeri, stando ai dati dell’Eurostat, al di sotto della media europea. Infatti, prima delle necessità scaturite dall’emergenza Coronavirus, solo una piccola percentuale di dipendenti aveva accesso ai sistemi IT da casa o da remoto. Rapidamente, l’aggravarsi della pandemia e le disposizioni governative hanno spinto all’adozione delle piattaforme di lavoro a distanza un esponenziale numero di imprese a livello internazionale, al punto che secondo Bloomberg, è in atto “il più grande esperimento di telelavoro al mondo”.

Cosa succede in Italia

Questo trend si rispecchia ovviamente anche nel nostro Paese e si riflette nel lavoro di chi, come il system integrator VEM sistemi, si occupa di implementare processi abilitanti al lavoro agile. La situazione dal punto di vista del Network Operation Center, un osservatorio privilegiato che ogni giorno raccoglie centinaia di ticket di supporto e analizza quasi 100.000 eventi/allarmi, indica le principali problematiche che stanno affrontando le aziende in questo periodo.

Innanzitutto, nelle ultime settimane sono più che raddoppiate le richieste relative all’attivazione di soluzioni di smart working, i principali vendor del settore hanno aderito al piano di Solidarietà Digitale del Governo e, assieme ai partner come noi, hanno messo a disposizione gratuitamente alcune soluzioni abilitanti: solo negli ultimi 15 giorni abbiamo infatti attivato una cinquantina di aziende per un totale di oltre 10.000 persone che avevano l’urgenza di essere subito connesse per poter lavorare.

Per garantire la business continuity in un contesto di emergenza come quello che stiamo attraversando, è necessario attivare rapidamente uno spazio di lavoro digitale sicuro, controllato e accessibile per tutti gli utenti aziendali.

Quando arriva la richiesta di attivazione, in primo luogo il team deve analizzare attentamente la situazione dell’azienda e della sua infrastruttura per valutarne le capacità e adeguarla alla richiesta.

Quali sono le richieste di supporto più frequenti in questi casi?

  • Problemi configurazione, sia legati all’utente che legati alla struttura della rete.
  • Impatto sulle performance delle infrastrutture del provider che possono essere in sovraccarico per via della quantità di gente connessa simultaneamente.
  • Necessità di avere molte più licenze disponibili rispetto a quante ne servivano in precedenza.
  • Richieste che riguardano l’adoption dell’utente, che non è abituato ad utilizzare le soluzioni.

Quale il problema principale?

L’attivazione di questa tipologia di servizi in emergenza con tempistiche molto ristrette porta a dover implementare sovrastrutture su sistemi non pensati o dimensionati per fare ciò che adesso gli viene chiesto.

Gli aspetti riguardanti la sicurezza informatica

Effettuare delle scelte in situazione di emergenza porta a volte le aziende a dover trascurare aspetti importanti come per esempio la sicurezza. Nel delicato ruolo di dover bilanciare tutte le esigenze per garantire la continuità operativa del business, spesso gli aspetti legati alla sicurezza non sono considerati fondamentali. La situazione emergenziale impone delle scelte, troppo spesso proprio a discapito di questo fattore.

Il ruolo del system integrator diventa quindi cruciale, perché deve porre l’attenzione anche su questa problematica e cercare, nonostante la situazione di emergenza, di garantire al cliente le migliori soluzioni di sicurezza possibili per consentire ai dipendenti di lavorare senza correre rischi anche da casa. Url filtering, content security, intrusion prevention, antispam, sandbox, scansione allegati e trasferimento file, endpoint security sono solo alcune delle soluzioni raccomandate per proteggere i dati dell’azienda che non possono correre il pericolo di essere compromessi.

Cosa cambia nell’organizzazione del lavoro del NOC e SOC

L’aspetto più impattante di questa situazione si vede subito nell’analisi dei numeri ed è rappresentato dal picco di chiamate ricevute in area servizi, che hanno moltiplicato la richiesta di interventi. In particolare registriamo un incremento del 50% per le linee di business legate allo smart working. È necessario quindi lavorare a pieno regime per mantenere gli SLA e tempi di risposta corretti per tutti i clienti pur avendo dovuto riorganizzare il sistema di lavoro: sebbene anche prima dell’emergenza avessimo adottato anche la modalità di lavoro in remote working, oggi praticamente il 100% dei system engineer del nostro NOC lavora da casa. Dall’altro lato gli interventi on site devono esser sempre garantiti con tutte le misure di sicurezza e protezione individuali necessarie per consentire sia ai nostri specialisti che ai clienti, di non correre rischi.

Il futuro

L’emergenza coronavirus ha spinto l’adozione delle piattaforme di lavoro a distanza, costringendo le aziende a optare per questo servizio in maniera massiva, con urgenza e in brevissimo tempo. Tuttavia queste scelte dovranno poi essere valutate a posteriori e rimesse in discussione a fine emergenza perché quanto costruito in questa particolare circostanza non deve essere considerato come il processo realizzativo ideale e definitivo, che invece si sarebbe potuto attuare operando in situazione di normalità.

Non si implementano processi davvero innovativi in emergenza. Sarà quindi necessario rivedere i processi e le soluzioni attivate per poterle davvero utilizzare in maniera sicura e continuativa nel tempo, affinché garantiscano un’efficiente operatività. In primis, questo significherà per molte aziende dotarsi di reti e tecnologie di nuova generazione se vorranno mantenere a regime il lavoro agile.

A cura di Giovanni Toscani, Head of Managed Services VEM Sistemi