Che cosa succederebbe se le strutture informatiche dovessero smettere di funzionare

Il cielo era grigio argento sopra la città vuota. Antonio guidava piano lungo le vie deserte, guardando con attenzione avanti a se. Ogni tanto si girava per controllare lo stato delle casse nel retro del furgone. Le macchine e i computer imballati dentro di esse sarebbero stati alla base della vita futura sua e dei suoi compagni.

Negli ultimi mesi il mondo che conosceva e che aveva sempre conosciuto si era disintegrato ed era semplicemente sparito, in un modo che nessuno avrebbe creduto possibile. Tutto era iniziato meno di quattro mesi prima con il grande sciopero degli informatici che, stufi di essere considerati poco più che lavatori di pavimento, si erano fermati per alcune ore una giornata… per coincidenza, caso, o chissà cos’altro proprio in quel giorno si era diffuso il grande virus informatico. E le reti di calcolatori avevano semplicemente smesso di funzionare. Tante volte l’Ordine degli Ingegneri e le altre associazioni di categoria avevano cercato di lanciare l’allarme sullo stato precario, sul fatto che c’erano troppe debolezze strutturali entro la rete, che molti degli addetti ai lavori non erano adeguatamente preparati e non avevano possibilità di aggiornarsi oltre a essere sottopagati, e che, soprattutto, la gestione di una infrastruttura così critica per la società non era fatta con adeguate procedure ingegneristiche.

Tutto inutile… Antonio ricordava ancora la famosa trasmissione televisiva nell’episodio di due anni prima in cui il rappresentante dell’Ordine era stato semplicemente zittito ed accusato di catastrofismo, oltre che venire irriso dal famoso attore e dalla ingioiellatissima presentatrice. Prima di uscire dallo studio aveva detto che ormai erano le strutture informatiche a tenere in piedi la civiltà, ma nessuno aveva capito…

Nei giorni successivi al blocco dei computer la gente non riusciva a capire cosa stesse succedendo. Elettricità, telefoni e telecomunicazioni, trasporti… tutto era bloccato. Il terzo giorno le provviste avevano cominciato ad andare a male nei frigoriferi spenti. Negli ospedali i pazienti morivano senza che fosse possibile fare nulla. Migliaia di persone avevano assaltato i supermercati e i centri commerciali. Nel giro di una settimana era stato il caos. La gente scappava in massa dalle città verso la campagna, in cerca di cibo. La struttura sociale era collassata, non avendo più alcun punto di riferimento. E poco dopo era iniziata l’epidemia, senza che nessuna struttura medica organizzata potesse fermarla. E poi, e poi… nel giro di due mesi la popolazione era sparita. Pochi superstiti si aggiravano disperati per le città e paesi vuoti. Antonio era riuscito a trovare una radio satellitare alimentata ad energia solare attraverso la quale aveva saputo che l’epidemia aveva colpito anche le nazioni vicine e tutto il continente era stato posto in quarantena assoluta. Oltreoceano erano terrorizzati da quanto era successo e si sarebbero tenuti alla larga dai possibili contagi. Non c’era quindi da sperare in alcun aiuto, bisognava cavarsela da soli.

Guidati da Vittorio, l’energico ingegnere automatico ex giocatore di rugby, i pochi superstiti della città erano riusciti ad organizzarsi intorno ad un quartiere alimentato da pannelli fotovoltaici e stavano cercando di pianificare il loro futuro. L’abilità dei tecnici aveva consentito di rimettere in piedi un minimo di vita civile e, soprattutto, di fare funzionare le macchine di laboratorio che avevano consentito ad uno dei pochi medici in gamba rimasti di trovare un vaccino per la malattia.

Adesso era chiara la vacuità della società basata sulla comunicazione di massa che, venuta meno l’infrastruttura che la teneva in piedi, si era dissolta nel nulla.

Antonio guardò ancora le casse che aveva prelevato dal magazzino ormai deserto della grande azienda informatica. Quelle macchine nei prossimi anni sarebbero servite a garantire l’organizzazione della piccola comunità e il funzionamento degli apparati di gestione dei pannelli solari della parte ancora deserta. Questo avrebbe consentito di avere energia elettrica in abbondanza e potere accumulare in celle frigorifere le provviste ottenute coltivando la terra dell’ex parco pubblico delle vicinanze ed allevandovi galline e conigli. Naturalmente tutti sapevano che il tempo di vita delle apparecchiature sarebbe stato al massimo di una quindicina d’anni, ma nel frattempo ci si sarebbe organizzati per realizzarne pezzi di ricambio.

Giovanni, l’ingegnere telecomunicazionista, aveva messo in piedi dei ponti radio con cui si era in contatto con le comunità di superstiti nelle città vicine. Dopo decenni in cui le distanze non esistevano ora, col poco carburante rimasto fortemente razionato, fare un centinaio di km in macchina voleva dire sprecarne troppo e quindi i contatti avvenivano normalmente solo via radio, tranne che in casi eccezionali come il trasporto del vaccino.

Era necessario costruire una nuova civiltà, assolutamente basata sull’essenziale e fortemente organizzata. Mentre rientrava entro le mura del quartiere e parcheggiava l’auto vicino al capannone delle macchine, Antonio pensò che lui e gli altri colleghi erano gli unici in grado di riuscire a fare questo, anche se ci sarebbero voluti decenni di duro lavoro. C’era speranza e la civiltà sarebbe ripartita su basi diverse, portando, forse, ad un risultato diverso.

Giulio Destri