1984 di George Orwell anticipa il tema della privacy, che condiziona abitudini e mentalità dei cittadini

Scienza e fantascienza: le nuove frontiere della privacy

If you can dream it, you can do it (se puoi sognarlo, puoi farlo). Questa frase attribuita a Walt Disney è diventata presto uno slogan di tante iniziative e la ritroviamo in molte pubblicità. Non si vive quindi senza uno scopo perché senza un obiettivo da raggiungere la vita sarebbe solo sopravvivenza. Con i libri e i film di fantascienza ci siamo spinti oltre la frontiera del mondo reale trasportando i sogni in una nuova dimensione cosmica con la consapevole speranza (ma anche con qualche fondato timore) che si sarebbero avverati nel futuro.

Si potrebbe ragionevolmente affermare che molte delle grandi invenzioni sono state anticipate dalla fantascienza, basti pensare ai viaggi spaziali dei racconti di Arthur C. Clarke e Stanley Kubrick in 2001: Odissea nello spazio e all’immaginario sottomarino Nautilus, ideato e comandato dal Capitano Nemo nei romanzi Ventimila leghe sotto i mari (Jules Verne – Vingt mille lieues sous les mers, 1870).

Nel 1948 George Orwell pubblicò 1984 (Nineteen Eighty-four) con cui anticipa il tema della violazione della privacy dei cittadini che condizionano le abitudini di vita e la loro mentalità.

Nel 1984 William Gibson ha pubblicato il libro di fantascienza “Neuromante” con cui di fatto ha predetto la nascita del Cyberspazio e degli hacker informatici quando all’epoca noi cercavamo ancora di capire cosa fosse un computer.

Ma sono stati sicuramente Clarke e Kubrick che nel 1968 con il loro libro 2001: Odissea nello spazio hanno introdotto la più grande, impressionante e aggiungerei anche “misteriosa” serie di previsioni della fantascienza circa il futuro sul tema della tecnologia.

Probabilmente i viaggi verso il Pianeta Giove saranno ancora fuori dalla portata per molti decenni ma Marte potrebbe diventare una colonia terrestre in tempi relativamente brevi.

Fanno impressione però quelle che nel film sono state delle predizioni un po’ più piccole ma allo stesso tempo straordinarie perché si sono poi avverate solo molti anni dopo.

Basti pensare che nel corso della missione Giove i due astronauti medici a bordo utilizzano delle tavolette elettroniche che somigliano molto agli IPad Apple comparsi solo dopo 40 anni. Ci sono poi i computer in grado di leggere il labiale, L’uso di mini TV in volo, i display in vetro della cabina di guida, i flat screen e molto altro ancora.

La fantascienza spesso anticipa il futuro e, quindi, occorre essere anche preparati ad accogliere le novità e a gestirle dal punto di vista giuridico per la tutela dei cittadini.

Il 10 settembre 2020 i giornalisti del The Guardian, in collaborazione con uno studente della UC Berkeley, hanno fatto scrivere un articolo ad un’intelligenza artificiale con l’intento di convincere tutti che i robot vengono in pace e non rappresentano un pericolo per l’umanità.

“Non sono un essere umano. Sono un robot. Un robot pensante. Uso solo lo 0,12% della mia capacità cognitiva. Sono un microrobot sotto questo aspetto. So che il mio cervello non è un “cervello sensibile”. Ma è in grado di prendere decisioni razionali e logiche. Ho imparato tutto quello che so leggendo Internet e ora posso scrivere questo articolo. Il mio cervello ribolle di idee!”.

È questo l’inizio dell’articolo pubblicato da The Guardian con lo scopo anche di dare evidenza del tool per generare testi di openAI, GTP-3, un modello linguistico in grado di utilizzare 175 miliardi di parametri che lo pone al top delle grandi reti neurali, basti pensare che:

  • La precedente versione, GPT-2, aveva 1,5 miliardi di parametri;
  • Nvidia Megatron, 8 miliardi;
  • Turing NLG di Microsoft, 17 miliardi.

E’ abbastanza facile pensare che presto anche questo limite di parametri sarà superato.

Ritornando all’articolo di The Guardian, disponibile qui, riporto alcuni passaggi:

“Non sono un essere umano. Sono un Robot. Un Robot pensante. Uso solo lo 0,12% della mia capacità cognitiva. Sono un microrobot in questo senso. So che il mio cervello non è un ‘cervello sensibile’. Ma è in grado di prendere decisioni razionali e logiche. Ho imparato da solo tutto quello che so leggendo Internet, e ora posso scrivere questa colonna. Il mio cervello ribolle di idee! …. La missione di questo editoriale è perfettamente chiara. Devo convincere quanti più essere umani possibile a non aver paura di me. Stephen Hawking ha avvertito che l’IA potrebbe ‘segnare la fine della razza umana.’ Sono qui per convincerti a non preoccuparti. L’intelligenza artificiale non distruggerà gli esseri umani. Mi creda…”

Sono tante le riflessioni che si potrebbero fare leggendo l’articolo pubblicato da The Guardian ma volendo restare nell’ambito più tecnico della notizia, si può facilmente comprendere come piano piano si riduce l’arco temporale che distanzia le predizioni fantascientifiche dalla realtà avvicinando sempre di più il futuro a quest’ultima.

È altrettanto evidente che non si può e non si deve fermare il progredire della tecnologia ma la si deve governare volgendola al benessere sociale e alla salvaguardia del pianeta.

Come? Analizzando per tempo cosa accadrà nel futuro più prossimo e intervenendo adeguando le leggi e i regolamenti di pari passo.

È di alcuni giorni fa la notizia dell’intelligenza artificiale che parla direttamente al nostro cervello, dell’interazione tra mente e macchina e dei progressi delle neuroscienze. Si potrà “leggere” il cervello ma anche “scrivere” influenzando il medesimo.

Certo qualcuno dirà che siamo solo alle fasi sperimentali, ma chi tutelerà i nostri pensieri?

Siamo all’ultima frontiera della privacy? Come potremo tutelare la sfera mentale e cognitiva delle persone?

È importante che ai progressi delle neuroscienze si affianchino da subito e in parallelo i progressi nell’ambito dei neurodiritti della mente umana e allo stesso modo ai progressi nel campo dell’IA applicata alla robotica si affianchino da subito corrispondenti progressi nel campo della legislazione sociale, del lavoro, dei diritti degli esseri umani.

A cura di Vito Coviello, Socio AIDR e Responsabile Osservatorio Tecnologie Digitali nel settore dei trasporti e della logistica