Quello che emerge dagli “Stati Generali dell’Ecosistema Startup italiano” è la necessità di sfruttare gli strumenti messi a disposizione del legislatore e di puntare ad una integrazione tra sistema vecchio e nuovo. Solo così possiamo farci trovare pronti

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Una via italiana all’innovazione

L’Italia riparte dall’innovazione. I tempi sono maturi, gli strumenti ci sono, l’urgenza pure, e soprattutto non dobbiamo farci cogliere impreparati al periodo denso di impegni che ci aspetta. Quest’anno, infatti, l’Italia si troverà a dover gestire un semestre di Presidenza UE e per l’anno prossimo gli appuntamenti che ci attendono sono addirittura due: il Global Entrepreneurship Congress a marzo e l’EXPO, da maggio ad ottobre, che avrà nell’innovazione uno dei suoi temi principali. Parola d’ordine: non farsi trovare impreparati e presentarsi come un sistema credibile, a partire da quello che c’è già.

Quello che è emerso dagli “Stati Generali dell’Ecosistema Startup Italiano” è proprio questo: valorizzare il sistema industriale esistente, spingere il nuovo, e soprattutto puntare a una loro integrazione.

Va costruito un ecosistema di business italiano, non si possono prendere modelli esteri perché fallirebbero – spiega Alberto Baban, Presidente Piccola Industria Confindustria -. Le Startup vanno iniettate in un sistema imprenditoriale che c’è già”.  Un concetto ribadito anche da Pierantonio Macola, AD di Smau e Consigliere di Italia StartUp, l’associazione no profit e sopra le parti che rappresenta l’ecosistema delle startup italiane: “La cosa fondamentale e davvero importante è quella di far instaurare una relazione tra startup e tessuto già esistente per far nascere un modello adeguato di sviluppo del sistema paese”.

Come crescere? La consapevolezza prima di tutto

Ma quali sono allora i passi da seguire?
Li chiarisce bene Riccardo Donadon, Presidente di Italia Startup: formazione, innovazione, consapevolezza e capitalizzazione.

La consapevolezza sta facendo crescere le piccole imprese innovative e oggi è più urgente che mai far crescere la consapevolezza dell’innovazione anche all’interno delle grandi imprese perché investano in cose nuove, con modelli nuovi – spiega Donandon -. Dobbiamo indirizzare l’energia dei giovani a lavorare per queste imprese e uno dei presupposti fondamentali è quello di sviluppare la formazione nelle scuole, creando poi degli strumenti per trattenere i nostri talenti, e contemporaneamente occorre formare i territori per far nascere un terreno ospitale per l’impresa”.

Non si tratta più di fare una legge o aggiustare una norma – puntualizza Donadon – ora si tratta di far crescere la consapevolezza sull’importanza di investire nei nostri stessi giovani e nelle loro idee innovative che possono far ripartire il Paese. Solo se ci muoviamo uniti ce la possiamo fare”.

Si passa alla fase 2!

Gli strumenti ci sono. Lo ha chiarito bene Stefano Firpo, a capo della Segreteria tecnica del Ministero dello Sviluppo Economico sotto tre differenti ministri. Ora la sfida sta nel farli conoscere e permetterne un utilizzo diffuso.

La fase uno, dal punto di vista della concretezza nel quadro normativo è conclusa, manca solo la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale – afferma Firpo –. Gli strumenti messi a disposizione dal decreto Crescita 2.0 sono molti e ad oggi pienamente operativi. Forse il problema attuale è quello che questi strumenti non sono conosciuti e sfruttati a sufficienza. Il prossimo passo da fare, un pezzo importante della fase due, sarà proprio quello di scaricare a terra tutto il potenziale della prima fase, insieme alla necessità di lavorare sulla formazione e di spingere l’industria a puntare sull’innovazione”.

Aggiungo – prosegue Firpo – che c’è ancora troppa frammentazione, i territori non approfittano delle risorse, non siamo ancora riusciti a sfruttare tutto il potenziale della policy startup”.

La strada è tracciata, non resta che cogliere al volo le opportunità che ci si sono aperte per non perdere il treno dell’innovazione.