Politiche di prevenzione e nuovi strumenti predittivi. I dati dello Studio sulla Sicurezza nel Retail in Italia.

A cura di Alberto Corradini, Country Manager Checkpoint Systems

I furti e le cosiddette differenze inventariali (ovvero la disuguaglianza tra l’inventario fisico dei beni in magazzino e sugli scaffali e le risultanze delle apposite scritture contabili) sono temi da sempre cruciali per i settori Retail e Grande Distribuzione Organizzata.

Come si legge nello Studio sulla Sicurezza nel Retail in Italia – realizzato con il nostro supporto da Crime&Tech dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, in collaborazione con il Laboratorio per la Sicurezza – “Nel 2016 in media, le differenze inventariali hanno rappresentato l’1,1 % del fatturato (circa 2,3 miliardi di euro) delle aziende nel settore Retail in Italia”.

Se i principali responsabili delle differenze inventariali sono, appunto, i furti, la stessa ricerca ci aiuta ad osservare come questi si modifichino in base alla tipologia merceologica, alla categoria di store e alla sua ubicazione: maggiori, ad esempio, sono i taccheggi che coinvolgono prodotti ad alto valore economico, facilmente occultabili e di maggiore rivendibilità (come ad esempio abbigliamento e oggetti della categoria fai da te) e sono numericamente superiori gli episodi presso punti vendita situati in aree periferiche o in centri commerciali di grandi dimensioni, comparati a quelli che riguardano negozi situati in città.

La raccolta di informazioni e dati, tramite le moderne tecnologie, con l’obiettivo di prevenzione dei furti, deve oggi essere in cima alle priorità dei retailer, al pari dell’attuazione di vere e proprie politiche di prevenzione.

Proprio in quest’ottica la ricerca mostra come l’identificazione di categorie precise di soggetti che compiono questo tipo di  reati possa contribuire significativamente alla messa in atto, per le aziende, di tattiche mirate a ridurre il rischio e limitare gli episodi. Si legge, ad esempio, che Le fasce d’età più ricorrenti dei “ladri di negozi” sono 18-25 e 26-40 tra gli uomini (soprattutto nel Fai da te, Stazioni di Servizio e nel Lusso) e 26-40 tra le donne (soprattutto nel Beauty & Cosmetics, nelle Calzature e nell’Abbigliamento), mentre in termini di nazionalità, prevalgono i soggetti dell’Est Europa.

Le tipologie e sicuramente le modalità di furto evolvono al pari degli strumenti a disposizione oggi delle aziende. Come emerge dallo Studio, ad esempio, oggi uno dei modus operandi più frequente sembra essere l’uso di borse schermate con fogli di alluminio o simili, mirato ad evitare i sensori anti-taccheggio nei punti vendita.

Ecco che un’accurata analisi predittiva, attuata anche attraverso l’utilizzo corretto di sistemi anti-taccheggio, si sta imponendo come nuovo trend all’interno del mondo Retail, in quanto supporta non solo una logica di previsione, ma anche di riduzione dei costi di gestione della sicurezza, calibrata con precisione in base al rischio futuro.

Oggi gli strumenti predittivi forniscono al settore la capacità di estrapolare, analizzare e mettere in relazione un’enorme mole di dati (cosiddetti Big Data), per scoprire legami tra fenomeni diversi e prevedere quelli futuri; al contempo la tecnologia offre soluzioni antitaccheggio RFID (Radio-Frequency Identification) progettate proprio per rispondere a questa esigenza.

A fronte delle premesse e dei dati sul settore che la Ricerca ha permesso di mettere in luce, i retailer italiani non destinano ancora un livello sufficiente di investimenti in sicurezza – oggi questi ultimi si aggirano intorno allo “0,5% del fatturato, con differenze sensibili tra i settori merceologici”. Al contempo è necessario per le aziende avvalersi di sistemi di sicurezza avanzati, da installare non solo come deterrente ai furti, ma come veri e propri collettori di Big Data, utili per identificare modelli di comportamento e prevedere – e quindi limitare –  i furti.