Nell’incontro “Valori d’impresa e incivilimento”le relazioni e le testimonianze di economisti e imprese che contrastano il modello imperante della finanziarizzazione a favore di un modello di impresa come fattore di incivilimento

  «Nella radicale trasformazione che stiamo vivendo, l’impresa è parte non secondaria. Non può tirarsi fuori affermando che il suo scopo è soltanto quello di remunerare il capitale investito; il fattore economico è positivo, ma non basta. In Italia abbiamo una lunga tradizione di economia civile, risalente addirittura ai Comuni medievali nei quali si generava una sussidiarietà circolare tra istituzioni (democrazia rappresentativa), organizzazioni sociali (democrazia partecipativa) e organizzazioni produttive (democrazia economica)». Così Linda Gilli, Cavaliere del Lavoro, amministratore delegato e presidente di INAZ, ha introdotto il convegno “Valori d’impresa e incivilimento” organizzato da INAZ nei giorni scorsi per discutere sul tema del ruolo dell’impresa nel progetto di sviluppo.

«L’incivilimento – ha detto Gilli – ci sembra una fase che precede il concetto stesso d’impresa e consideriamo ovvio che i valori che ne guidano l’azione derivino dalla raggiunta “civiltà”. Ma non è così! L’eccessiva, quasi esclusiva attenzione agli aspetti finanziari rischia di confinare le imprese solo al ruolo di strumenti di mercato precludendo un rapporto più articolato con la società in cambiamento. In questa situazione occorre che tutti gli attori politici, economici, sociali si rendano conto rapidamente che anche i valori di riferimento stanno cambiando, anzi sono già cambiati. Le imprese che sono riuscite a sopravvivere in questi anni così difficili devono oggi con la stessa grinta, costruire il futuro ripensando in termini nuovi ai valori cui fanno riferimento. Se il teatro di operazione non è più solo il mercato della visione liberista, di quali nuovi “attrezzi” hanno bisogno le imprese?». 

A delineare lo scenario generale è stato Marco Vitale, economista d’impresa, uno scenario non certo favorevole alla realizzazione del binomio valori d’impresa e incivilimento, concetto, quest’ultimo, dei grandi pensatori italiani dello sviluppo, da Verri a Cattaneo, che non parlavano mai di crescita e neanche di sviluppo, ma di incivilimento. «I processi di finanziarizzazione del mondo e di concentrazione della ricchezza, che sono nemici sia dell’impresa sia del processo di incivilimento hanno ripreso la guida con rinnovato vigore –ha affermato Vitale–. Oggi –come scrive Colin Crouch– bisogna spiegare “non i motivi per cui il neoliberismo in crisi è destinato a morire, ma esattamente l’opposto: come mai esso stia riemergendo dal collasso finanziario, politicamente più forte che mai”. Non dimentichiamo che il neoliberismo non è solo una scuola di pensiero. È un poderoso movimento politico che coinvolge grandi interessi. La corsa alle grandi dimensioni aziendali, la fenomenale concentrazione di ricchezza, la deregolamentazione finanziaria e la conseguente moltiplicazione delle attività finanziarie, l’esplosione del debito privato agevolato da una precisa politica (keynesismo privato), porta alla creazione di larghi ceti fortemente beneficiati dal neoliberismo e interessati al suo perdurare. Oggi l’unica autorità mondiale che si batte contro la barbarie della finanziarizzazione del mondo e contro il pensiero del neoliberismo è Papa Francesco, con i suoi formidabili quattro no: a un’economia dell’esclusione, alla nuova idolatria del denaro, a un denaro che governa invece di servire e all’iniquità che genera violenza». 

Alcune direzioni di lavoro le suggerisce il professor Vittorio Coda: «Per guarire dalle patologie che ci affliggono – la finanziarizzazione di stampo americano; il rigorismo europeo dei modelli di misurazione dei rischi di credito che trascurano le esigenze di sostegno alle piccole-medie imprese; le piaghe del clientelismo e della corruzione – servono diverse cose: un’assunzione vera di responsabilità da parte di tutti; dare centralità al bene comune; formare una diffusa coscienza civica; riaccendere l’imprenditorialità nei territori; diffondere buone pratiche di management e governance nelle istituzioni e nelle aziende tutte. Se i valori sono proclamati ma non sono praticati, è come se non esistessero. Ma perché siano praticati occorre inculcarli nel cuore delle persone e iniettarli nella cultura delle organizzazioni, siano esse aziende o istituzioni, attraverso ben studiati processi di trasmissione e diffusione. Bisogna anche mettere in conto che i valori attecchiscono dove trovano un terreno favorevole, in alcune persone e in alcune organizzazioni. Queste poi, con la loro identità visibile e attrattiva, producono effetti diffusori nel tessuto economico-sociale, contagiando via via altre persone e organizzazioni che ne vengono a conoscenza, si incuriosiscono, si lasciano affascinare, provano a metterli in pratica e, infine, vi aderiscono pienamente».

Il professor Mario Minoja ha infine introdotto le testimonianze di due imprese e due istituti non profit che hanno raccontato le scelte, le iniziative e i comportamenti più significativi che hanno tradotto in azione i principali valori nei quali credono. Giorgio Brunetti, vicepresidente della Fondazione Teatro la Fenice ha spiegato come dal 2009 si siano risollevate le sorti del teatro puntando sull’aumento della produttività, il coinvolgimento del personale e l’attenzione ai costi; Renato Bruno, general manager di Bruno Generators, ha illustrato il valore delle fiducia come prassi aziendale, il coraggio di scelte in controtendenza come la preferenza accordata alla qualità rispetto ai benefici del taglio dei costi permesso dalla delocalizzazione e l’internalizzazione dei processi; Benedetta Buzzi, responsabile corporate finance di Buzzi Unicem, ha raccontato come i valori familiari possano diventare valori aziendali e come la sobrietà che impronta una realtà nata in provincia sia diventata lo stile di un gruppo che ha realizzato grandi acquisizioni internazionali; Gianluca Oricchio, direttore generale del Policlinico Universitario Campus Bio-Medico di Roma, ha spiegato come puntando sull’innovazione, sulla valorizzazione delle risorse umane, sull’apertura a mercati stranieri e sugli aspetti da migliorare sia stato possibile reggere in un comparto come quello sanitario afflitto da tagli di fondi pubblici.