Le grandi aziende sembrano invece orientate verso la giusta direzione

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Nel confronto internazionale, l’Italia appare in ritardo nell’adozione di modelli orientati allo Smart Working . Basta solo pensare che, in riferimento al telelavoro, il Bel Paese si posiziona al 25°posto su 27 Nazioni europee nell’ultima classifica UE. Ed oggi, mentre sempre più Paesi progrediscono (in Norvegia la percentuale di aziende che permette il telelavoro è raddoppiata dal 2003 al 2007), l’Italia sembra invece sempre più ancorata, lontana quindi dal colmare il gap: nel 2013 la percentuale dei telelavoratori per più di un quarto del loro tempo lavorativo è pari a solo il 6,1%.
Nonostante ciò si può segnalare un piccolo passo avanti che forse rappresenta ilprimo cambio di tendenza: nell’ultimo anno la percentuale di telelavoratori (almeno occasionali) è aumentata dell’8%, passando dal 17% del 2012 al 25% nel 2013.

Alla base del gap italiano rispetto agli altri Paesi europei nella diffusione del telelavoro, vi è una normativa pesante e restrittiva, una visione miope e rigida nelle relazioni industriali e una cultura del lavoro pesantemente gerarchica – afferma Mariano Corso, Responsabile Scientifico dell’Osservatorio Smart Working della School of Management del Politecnico di Milano – Inoltre, nel percorso d’innovazione organizzativa, l’Italia sembra frenata dalla grande presenza di imprese medio-piccole con modelli di lavoro ancora molto tradizionali”.

Una ricerca condotta dal Politenico di Milano evidenzia infatti come nelle PMI la flessibilità nell’orario di lavoro sia presente nel 25% delle imprese, ma venga offerta a tutti i dipendenti solo nel 10% dei casi; il telelavoro sia presente nel 20% delle imprese, ma sia concesso a tutti i dipendenti in meno del 2% dei casi. Nelle grandi aziende italiane, invece, la situazione è diversa: la diffusione della flessibilità nell’orario di lavoro è circa il triplo delle PMI, quella del telelavoro doppia. Oltre ad avere policy organizzative mediamente più flessibili, le grandi aziende si distinguono per una maggior attenzione all’innovazione del layout fisico degli spazi di lavoro: circa un’impresa di grandi dimensioni su due ha in atto iniziative di riprogettazione degli edifici con la creazione di ambienti maggiormente aperti, flessibili e orientati alla collaborazione e al benessere delle persone (aree destinate alla collaborazione, open space, postazioni non riservate alle singole persone e/o riconfigurabili, aree di relax,…).

L’arretratezza dei modelli di lavoro in Italia si riflette in una limitata soddisfazione dei lavoratori, in particolare riguardo alla flessibilità del luogo e degli orari di lavoro: circa un terzo degli utenti business si dichiara poco o per nulla soddisfatto su questo fronte, ritenendo che una percentuale in media il 40% delle proprie attività potrebbe essere svolta efficacemente al di fuori della sede di lavoro.