Entro il 2020 in Europa il valore generato grazie alla diffusione delle identità digitali potrebbe garantire un beneficio economico annuo per le aziende pari a 330 milioni di euro

La decisa apertura degli utenti verso un utilizzo sempre più diffuso dei dispositivi mobili per interagire con il mondo pubblico e aziendale rappresenta un ottimo punto di partenza per prevedere una grande diffusione dell’identità digitale, una sorta di “codice unico” che contiene informazioni relative alle singole persone, alle loro caratteristiche, alla loro storia e ai loro interessi.

Un’identità digitale non è l’ennesimo binomio username e password, ma piuttosto un <<passepartout>> in grado di facilitare i cittadini nelle loro relazioni online  e di permettere ai loro interlocutori di conoscerli meglio e offrire prodotti e servizi il più possibile su misura e in tempi rapidi. In poche parole, l’identità digitale sta diventando una nuova forma di moneta” ha spiegato Paul Ferron, Director Security Solution EMEA di CA Technologies.

Secondo Ferron, inoltre, bisogna considerare che in molti casi, il concetto e il valore di identità digitale possono essere amplificati grazie alla crescente disponibilità di sempre nuove fonti di informazioni personali: “pensiamo ai dati relative alle transazioni online (un acquisto, una fattura pagata…), a quelli provenienti dai social media (like, preferenze, video e foto, luoghi visitati…) e dall’Internet of Things (senza contare pc, tablet e smartphone, secondo i maggiori esperti, nella sola Europa entro la fine del 2015 saranno collegati in rete un milione di device diversi)”, ha aggiunto Ferron.

Tutte queste informazioni, se legate a singole persone, consentono alle aziende già oggi di offrire in tempo quasi reale prodotti e servizi più vicini alle necessità dei clienti, ma anche di ampliare il proprio business verso nuovi mercati o di “aggiustare il tiro” delle loro strategie di posizionamento sul mercato.

A questo proposito, secondo un’analisi condotta da The BCG, entro il 2020 in Europa il valore generato grazie alla diffusione delle identità digitali potrebbe garantire un beneficio economico annuo per le aziende, pubbliche e private,  pari a 330 milioni di euro, in termini di maggiore fatturato e costi ridotti, ma anche di maggiore introito fiscale.

Secondo Ferron, per determinare il successo della cosiddetta “sharing economy” – quella che privilegia la user experience piuttosto che il possesso di un prodotto o di un servizio – è fondamentale che si instauri un rapporto di mutua fiducia tra utenti e fornitori, legato proprio alla diffusione delle identità digitali. “I primi, infatti, sono disposti a condividere anche le informazioni più private in cambio di velocità, personalizzazione e convenienza economica; i secondi, invece, sono disposti a sviluppare nuove strategie di presenza sul mercato, ma solo se possono essere certi che i dati relativi ai loro clienti siano verificati e sicuri, soprattutto quando prevedono pagamenti online”, ha sottolineato Ferron.