Uno studio Intel Security mette in evidenza come non ci siano più dei netti confini tra attività lavorative e personali, svolte indifferentemente dai dispositivi aziendali e personali

BYOD

“Consumerization of the Workforce” è il titolo dello studio condotto da Intel Security, che ha preso in esame le opinioni e i comportamenti di oltre 2500 professionisti – 200 in Italia – a proposito dell’uso della tecnologia sul posto di lavoro. Tra i risultati emersi, la tendenza più rilevante riguarda l’uso di dispositivi aziendali per attività personali, affiancata al complementare uso dei propri apparecchi per motivi di lavoro.

Comportamenti simili mettono potenzialmente a rischio la sicurezza dei dati aziendali, nel caso – soprattutto per i device personali, come smartphone o tablet – non si prendano le necessarie misure di protezione. I dispositivi privati, però, aggiungono una flessibilità alla propria attività cui spesso non è facile rinunciare. Se si pensa alla collaborazione in remoto e al cloud, in particolare, i lavoratori vogliono avere la possibilità di condividere liberamente le proprie informazioni, ovunque si trovino.

Gli atteggiamenti degli utenti cambiano di pari passo con l’evoluzione dei dispositivi: le imprese devono considerare che la consumerizzazione della forza lavoro non è più un fenomeno marginale. Il BYOD non è più solo un acronimo, è una pratica ricorrente. Ecco cosa dicono i dati raccolti nello studio.

Circa l’80% degli intervistati usa i propri dispositivi per lavorare, da un lato, e dall’altro svolge attività personali su quelli aziendali. Due dati su tutti, però, emergono con forza: oltre i 2/3 delle attività svolte sul posto di lavoro sono personali, private, in primo luogo; in secondo luogo, quasi la metà dei dipendenti (oltre il 40%) lavora da casa o dovunque si trovi. Non c’è più una netta separazione dell’ufficio dalla propria dimora. Emerge quindi che la sicurezza non può essere sottovalutata: il 77% ha fiducia che il proprio datore di lavoro protegga efficacemente i dati , mentre il 65% ritiene che debba essere il dipartimento IT il responsabile della protezione delle informazioni.

I dati italiani
I risultati emersi dagli intervistati italiani sono mediamente in linea con il resto del campione. Il 70% di loro, inoltre, prevede che la propria azienda consentirà l’uso di dispositivi wereable per migliorare la flessibilità lavorativa. Caratteristica considerata un’agevolazione che l’azienda concede al dipendente nel 62% dei casi. Nonostante questo bisogno così diffuso, però, il 42% dei professionisti crede ancora che sia l’ufficio il posto migliore per lavorare: solo il 14% crede che sia meglio farlo da casa, contro il 24% che sceglierebbe qualsiasi altro luogo.

Per quel che riguarda la protezione dei dati, oltre i due terzi degli italiani sono convinti che il proprio datore di lavoro protegga adeguatamente i loro dati: diversamente, non svolgerebbero attività private o confidenziali (leggere la propria mail o fare acquisti online, per esempio) dai device aziendali. “Una grande preoccupazione arriva dal cloud” ha commentato Ferdinando Torazzi, Regional director enterprise ed endpoint per l’Italia e la Grecia di Intel Security. Non è infrequente, infatti, “l’utilizzo di account come Dropbox per i documenti aziendali, l’inoltro di email accedendo alla propria casella personale, con smartphone o tablet non protetti su hotspot Wi-Fi non sicuri“.

Secondo gli esperti di Intel Security si dovrebbero sviluppare delle regole per un corretto uso dei dispositivi mobile, data la continua ibridazione lavoro-privato. Tali norme dovrebbero stabilire degli standard d’idoneità per il BYOD, a quali servizi e applicazioni consentire l’accesso ed elencare conseguenze e responsabilità per chi non rispetta le policy.