Nell’ultimo anno sono state gettate basi importanti per l’Agenda Digitale italiana. Ora non ci sono più alibi: è il momento di passare all’esecuzione dei piani definiti. Previsti 1,51 miliardi di euro di investimento fino al 2020.

Finanziare l’Agenda Digitale

La strategia di attuazione dell’Agenda Digitale prevede che dal 2014 al 2020 la PA investa 10,6 miliardi di euro, circa 1,51 miliardi ogni anno. Questi investimenti potrebbero essere sostenuti con 1,65 miliardi di euro l’anno di risorse europee (complessivamente 11,5 miliardi di euro dal 2014 al 2020, sommando i contributi dei fondi a gestione diretta e indiretta), disponibili a patto che migliori la nostra capacità di raccolta e utilizzo di tali risorse. Sono oggi a disposizione anche fondi per le imprese, grazie ai numerosi bandi di finanziamento avviati dal Governo ai quali è possibile candidare iniziative di digitalizzazione.

Finanziare l’Agenda Digitale italiana oggi è possibile – afferma Alessandro Perego, Responsabile scientifico degli Osservatori Digital Innovation del Politecnico di Milano – : sono disponibili le risorse dei fondi strutturali. Per accedervi è però necessario sviluppare competenze avanzate di ingegneria finanziaria, passando dalla logica di finanziamento mono-risorsa, mono-erogatore e mono-prodotto che ha caratterizzato gli scorsi anni, a una “blended funding”, che abbini più prodotti, attinga a molteplici risorse, spesso europee, e cerchi di valorizzare la collaborazione tra PA e privati”.

Il 77% delle risorse europee a disposizione dell’Italia per attuare l’Agenda Digitale, pari a 1,27 miliardi di euro l’anno, è allocata su fondi strutturali ed utilizzabile solo dopo l’approvazione di programmi operativi. 60 dei 74 programmi presentati dall’Italia sono stati approvati tra il 2014 e il 2015. 14 non sono ancora stati approvati a due anni dall’inizio del periodo di gestione 2014–2020.

2,7 miliardi di euro saranno specificatamente disponibili dal 2014 al 2020 per l’attuazione dell’Agenda Digitale, a cui corrisponde uno specifico Obiettivo Tematico dei programmi di coesione europei. Queste risorse sono allocate su FSE e FESR, da cui si possono recuperare altri 5,8 miliardi di euro includendo investimenti in digitale nei programmi operativi scritti con riferimento ad altri obiettivi tematici. Altri 372 milioni di euro dovrebbero arrivare dal FEASR. Inoltre, grazie a fondi europei a gestione diretta (come Horizon 2020) dal 2014 al 2020 saranno disponibili per l’attuazione dell’Agenda Digitale 2,6 miliardi di euro, pari a 376 milioni di euro l’anno. Si ipotizza che imprese e PA italiane riescano ad aggiudicarsi l’8,5% delle risorse disponibili anche se è cresciuta la competizione per ottenerle.

Oltre ai fondi europei, l’attuazione dell’AD italiana può contare anche su risorse nazionali, locali e private. Se le risorse locali e private sono incerte o difficili da quantificare, per quelle nazionali si può contare su 22 bandi di finanziamento nazionale per un valore complessivo di 13 miliardi di euro disponibili a partire dal 2015 (di cui 3,5 miliardi già durante il 2015) utilizzabili in particolare da imprese private. Una disponibilità significativa, ma solo 9 bandi su 22 (e il 46% delle risorse disponibili) hanno come obiettivo specifico uno o più temi di Agenda Digitale. È necessario quindi inserire investimenti in digitalizzazione in progetti finalizzati all’ottenimento di altri risultati.

L’attuazione

Dal 2012 a oggi solo 32 dei 65 provvedimenti attuativi previsti dai Decreti Legge che normano l’attuazione dell’Agenda Digitale sono stati recepiti e, di questi, solo 5 entro le scadenze prefissate. I ritardi nel recepimento normativo rischiano di compromettere l’attuazione della “Strategia per la Crescita Digitale”. Dei 32 provvedimenti ancora da recepire, 20 avevano una scadenza rispetto a cui presentano ritardi medi di oltre 700 giorni, mentre 14 richiedono ingenti sforzi di coordinamento. Solo un provvedimento è stato abrogato. Le principali ragioni dei ritardi sono l’eccessivo numero di provvedimenti attuativi, una progressiva stratificazione di atti normativi nel tempo, l’assenza di un effettivo monitoraggio periodico, l’elevato numero di provvedimenti senza scadenza. Per semplificare il lavoro del regolatore, potrebbe essere utile abrogare 11 provvedimenti il cui contenuto è ormai obsoleto, come conseguenza del decorso del tempo o della successiva emanazione di altre Leggi.

Oltre a misurare l’attuazione normativa, tuttavia, è importante misurare l’effettiva attuazione dell’Agenda Digitale. Ad oggi solo 12 Paesi europei su 28 hanno presentato nei loro documenti strategici indicatori per monitorare l’effettiva attuazione. Solo 9 hanno definito target da raggiungere e 8 hanno misurato la situazione di partenza. Il DESI (Digital Economy and Society Index) posiziona l’Italia in quart’ultima posizione (25esima) in Europa. Su 28 Paesi censiti siamo al 27° posto per connettività, al 24° in capitale umano, al 26° per uso di Internet, al 20° per integrazione della tecnologia digitale e al 15° in servizi pubblici digitali. Ma per una misurazione efficace occorrerebbe utilizzare uno strumento più completo del DESI perché quest’ultimo è focalizzato solo su alcune aree di interesse comunitario, misura parzialmente l’attuazione dell’AD e non suggerisce percorsi di attuazione e priorità da perseguire.

L’Osservatorio Agenda Digitale del Politecnico di Milano ha definito un cruscotto di oltre 100 indicatori che consenta di fare precisi confronti con gli altri Paesi europei per ogni area di attuazione. Ha quindi elaborato un indicatore complessivo, il “Digital Maturity Index” (DMI) che riporta in modo sintetico lo stato di digitalizzazione dei vari Paesi europei e dimostra una stretta correlazione tra questo indice e il PIL pro capite. Secondo il DMI l’Italia risulta al 21° posto su 28 Paesi europei ed è il Paese con più alto PIL pro capite tra quelli caratterizzati da bassi valori del DMI. Per allineare il PIL pro capite ai Paesi più ricchi con dimensione simile alla nostra è indispensabile un incremento significativo delle performance sul fronte della trasformazione digitale.

Confrontando l’Italia e gli altri Paesi europei sulla base del cruscotto di indicatori, si nota come l’attuale Agenda Digitale italiana abbia aree di attuazione poco coperte, come quella dell’Innovazione digitale delle imprese. Sono tuttavia stati impostati buoni sistemi di monitoraggio per le aree legate a Connettività, eGov e Competenze – commenta Alessandro Perego –. In generale l’attuazione dell’Agenda Digitale italiana è allineata al resto d’Europa per le aree eGov e OpenGov, mentre è in ritardo per le altre aree. Con i progetti SPID, PagoPa e ANPR è in via di miglioramento l’area relativa alle Infrastrutture di servizi digitali a PA e imprese”.

Le Agende Digitali regionali

Dieci Regioni italiane su 21 già hanno già formalizzato documenti che esplicitano le strategie e le priorità di attuazione delle loro Agende Digitali, mentre altre 8 stanno finalizzando lo sviluppo di tali documenti impiegando prevalentemente approcci partecipati, basati su ampie consultazioni pubbliche. Le strategie di attuazione delle Agende Digitali delle Regioni italiane sono abbastanza diverse tra loro, sia per approcci che per temi trattati. Le aree di attuazione più tangibili – come Connettività, Infrastruttura di servizi digitali ed eGovernment – sono completamente definite da un punto di vista strategico in 15 Regioni su 21. Le aree più “soft” – come Reputazione internazionale e Ricerca/Innovazione –sono invece trascurate da 14 Regioni su 21.

Dal 2014 al 2020 le Regioni italiane avranno a disposizione 5,7 miliardi di euro provenienti da risorse FESR e FSE per lo sviluppo dell’Agenda Digitale. Il 62% di tali risorse è destinato alle Regioni con PIL pro-capite inferiore al 75% della media UE. Le imprese di 3 Regioni su 21 avranno a disposizione oltre la metà delle risorse disponibili grazie ai fondi a gestione diretta e al cofinanziamento nazionale. Sei Regioni su 21 hanno predisposto un sistema di indicatori per monitorare l’attuazione dell’Agenda Digitale, tre hanno definito target entro un dato periodo temporale, due hanno misurato la situazione di partenza su cui agire con gli interventi di digitalizzazione.

In Italia ci sono 15 società in-house regionali che si stanno trasformando da tradizionali software house pubbliche a service broker di innovazione digitale, con modelli organizzativi snelli, aperti al mercato, in grado di specializzarsi e cooperare tra loro. Negli ultimi tre anni le società in-house regionali hanno aumentato dal 46% al 54% la quota di budget in outsourcing. “La Riforma della PA sta creando uno scenario in cui le competenze specialistiche delle società in-house sono messe a fattor comune in un modello a rete, per generare servizi condivisi a livello sovra-regionale e garantire la cooperazione e l’attuazione coerente dell’Agenda Digitale – spiega Mariano Corso, Responsabile Scientifico dell’Osservatorio Agenda Digitale –. Per fare questo, tuttavia, le in-house devono superare l’attuale visione locale, promuovere partenariati tra mondo pubblico e privato, procurement innovativo di innovazione digitale, riuso e shared service. È necessario far procedere questa evoluzione in modo coerente e allineato alle priorità del Paese”.

Procurement pubblico di innovazione digitale

Non esistono informazioni chiare su quanto spenda la PA italiana nel procurement di tecnologie digitali. Le stime più attendibili certificano la spesa in 6 miliardi di euro per il 2014, pari al 3% degli acquisti della PA, in calo e inferiore a quella di altri Paesi EU: più che operare tagli lineari su questa spesa sarebbe opportuno misurarla e riqualificarla.

Le procedure di procurement pubblico innovativo già disponibili nell’attuale quadro normativo sono scarsamente usate dalle PA italiane. Dal 2012 in Italia sono state eseguite 84 procedure di dialogo competitivo (procedure flessibili in cui la stazione appaltante avvia un dialogo con i candidati) su un totale di 6.765 attivate in Europa. Solo 5 dialoghi competitivi italiani hanno riguardato l’attuazione dell’Agenda Digitale. Inoltre, l’Italia non ha ancora recepito le direttive europee che forniscono procedure innovative di procurement pubblico e incentivano i Partenariati Pubblico Privati (PPP). Quando saranno recepiti tali direttive, è importante fare chiarezza su quando e come utilizzare le nuove procedure di aggiudicazione degli appalti.

Consip e AgID rivestono ruoli chiave nello scenario ipotizzato dalla legge finanziaria, ma non sono sufficienti a trasformare il procurement pubblico da freno a volano di digitalizzazione del Paese – afferma Mariano Corso -. Per valorizzare a pieno la razionalizzazione delle stazioni appaltanti e la revisione del codice degli appalti è necessario migliorare le competenze di PA e provider di soluzioni digitali, ridefinire le partnership tra i due attori e migliorare le procedure con cui è gestito il procurement pubblico”. “La finanza di progetto – aggiunge Alessandro Perego – è una tipologia di PPP che valorizza l’apporto dei privati e la piena coerenza con i vincoli di finanza pubblica della PA, ma è poco sfruttata in Italia. È necessario fornire adeguati strumenti a PA e imprese per usarla al meglio e coglierne l’opportunità”.