L’Italia sta diventando meta ambita di soggiorno professionale per europei, sudamericani e orientali    

Young man with backpack in airport near flight timetable

Il 56% dei lavoratori «espatriati» delle aziende tricolori sta via solo per un periodo, in media 61 giorni l’anno Usa, Francia e Cina le mete più gettonate. Ma la ricerca di Eca, Aidp e Statale di Milano su 51 imprese campione rivela pure che stiamo diventando meta ambita di soggiorno professionale per europei, sudamericani e orientali

Niente più valigia di cartone, solo bagagli griffati. E non chiamateli nemmeno cervelli in fuga, sono professionisti che trovano nell’esperienza lavorativa all’estero una leva di crescita professionale. E poi finiscono per rappresentare una risorsa di sviluppo e innovazione per le aziende con visione globale. Lo scenario emerge con chiarezza dall’indagine «Espatriati italiani e stranieri in Italia: politiche e prassi gestionali» nata dalla collaborazione tra Eca Italia con il patrocinio dell’Università Statale di Milano e Aidp, l’associazione italiana dei direttori del personale. Condotta su un campione di 51 aziende appartenenti a diversi settori merceologici, la survey rappresenta la ricerca italiana più ampia sul fenomeno della mobilità internazionale.

Il fenomeno 

Trasferirsi all’estero oggi crea i presupposti per una nuova classe dirigente multinazionale con dinamiche diverse rispetto al passato. Per esempio, l’esperienza oltreconfine non è più solo sinonimo di incarichi a lungo termine. Su un totale di 12.082 risorse, il 56% svolge attività in regime di trasferta, il 33% è invece in contratto estero temporaneo e solo l’11% delle risorse svolge le proprie mansioni come lavoratore localizzato presso la sede estera. I lavoratori inviati in trasferta sono soprattutto il personale di staff (45%), seguono le risorse tecniche (31%) e chiudono la classifica gli appartenenti alla classe manageriale (24%). Le risorse coinvolte in business trip trascorrono una media 61 giorni all’estero e sono principalmente diretti verso Usa (11,2%), Francia (9,8%), Cina (8,85), Germania (8,3%) e Uk (7,8%).

«La nostra ricerca di quest’anno — ricorda Andrea Benigni, amministratore delegato Eca Italia — vuole sottolineare come il fenomeno expat sia ormai radicato nel sistema industriale italiano e rappresenti un capitale di accrescimento di competenze e esperienze a due vie. Il nostro Paese è diventato, infatti, meta di lavoro qualificato per importanti aziende straniere. Se le regole di ingaggio evolvono nel senso dell’efficienza dei costi per l’azienda e dell’aumento dei benefit per i lavoratori, va comunque registrata l’esigenza di creare una cultura dell’espatrio più aderente al contesto in cui operano i professionisti italiani.

La conciliazione della carriera e delle esigenze familiari resta un nodo da sciogliere che condiziona in maniera significativa l’espatrio di qualità dei talenti al femminile con importanti effetti di limitazioni di carriera per le lavoratrici italiane». Ma quale modello adottano le imprese? Variabile. Dall’indagine emerge che il 65% del campione ha rivisto le proprie politiche di global mobility negli ultimi due anni.

Un cambiamento che ha investito anche i pacchetti retributivi offerti dalle aziende per le risorse espatriate: solo il 14% delle aziende ha infatti un unico modello di policy per la gestione del personale in contratto per l’estero, mentre l’86% ha introdotto sistemi di costruzione del trattamento economico di espatrio differenziati per tipologia di assegnazione, categoria, posizioni. Un dato significativo è quello che vede il 67% delle le aziende prevedere la possibilità di assunzione all’estero come alternativa al distacco che avviene dopo un periodo media di permanenza all’estero di 4 anni. Questo ha portato alla creazione e adozione di contratti esteri temporanei segmentati e personalizzati, in linea con le esigenze delle risorse e funzionali per l’azienda.

Lo scambio 

L’altra faccia del fenomeno è che l’Italia non è solo base di partenza per esperienze estere ma sta anche diventando sempre più attraente come meta di espatrio: la migrazione di qualità riguarda un totale di 1627 dipendenti stranieri, di cui 726 lavoratori in regime di trasferta, 539 in contratto estero temporaneo e 362 localizzati in Italia. Numeri che confermano come anche dalla prospettiva inversa la trasferta internazionale rappresenti uno strumento strategico per le aziende. Europa (39%), Sud America (16%) e Estremo Oriente (13%) sono le aree geografiche che generano maggior afflusso di risorse. All’interno dell’area Ue il maggior numero di risorse straniere proviene da Francia e Spagna, mentre Cina e Giappone prevalgono a Oriente. Nel Nord America, spiccano gli Stati Uniti mentre Brasile e Argentina sono i paesi del Sud America più sedotti dall’Italia.

Dott.ssa Anna Capuano
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