Crollano di oltre il 20% del loro valore di mercato le quotazioni di borsa delle banche italiane, rendendole appetibile preda per i fondi stranieri

banche in default

I recenti cali di borsa causati anche dallo spread e dall’incertezza politica, le banche italiane ormai risanate, rischiano di essere consegnate a investitori stranieri: le banche valgono infatti oggi molto meno del loro capitale, come ai tempi della grande crisi. Lo rileva un’analisi della FABI (Federazione Autonoma Bancari Italiani), primo sindacato del settore bancario, secondo cui la situazione risulta essere potenzialmente pericolosa per i lavoratori bancari che verrebbero svenduti, trovandosi di fronte a un futuro incerto.

Il quadro è mutato rispetto al 2011, quando le banche erano in sofferenza, che rende gli istituti di credito italiani appetibili, soprattutto per i fondi esteri: chi volesse comprare l’industria bancaria italiana la troverebbe risanata e in saldo. Due grandi gruppi come Ubibanca e BancoBpm – che valgono circa 20 miliardi di euro – potrebbero essere comprati, stando alle attuali quotazioni, con soli 8 miliardi.

“L’allarme sul fatto che le banche italiane possano diventare prede facili è quindi del tutto giustificato” dichiara il segretario generale della FABI, Lando Maria Sileoni. “A noi non interessa, in via di principio, quale sia la residenza degli azionisti delle nostre banche. Sappiamo bene, però, che ai fondi esteri interessano guadagni facili e in tempi brevi. Un obiettivo che gli avvoltoi stranieri sono disposti a raggiungere con spregiudicatezza, anche a danno dei lavoratori, se c’è da risparmiare e da tagliare i costi in maniera indiscriminata. Ecco perché siamo preoccupati” spiega Sileoni. “Vorrei ricordare – aggiunge – che negli ultimi sei anni nel settore bancario europeo sono stati persi 328.500 posti di lavoro dei quali il 70% attraverso licenziamenti di personale. In Italia sono stati persi oltre 40.000 posti di lavoro, ma senza un licenziamento, soltanto attraverso pensionamenti e prepensionamenti volontari.”

I timori sono legati al recente andamento dei mercati finanziari, che ha subito gli effetti delle tensioni politiche sul debito pubblico italiano: ogni volta che si allarga lo spread, il differenziale di rendimento tra i btp italiani e i bund tedeschi, puntualmente le banche italiane cadono in borsa. La ragione è semplice: le banche hanno tuttora in pancia 340 miliardi di titoli di Stato, circa il 15% di tutti i titoli di debito italiano in circolazione. Vuol dire che quando l’Italia finisce nel mirino della speculazione finanziaria, l’attacco si riflette immediatamente sull’andamento delle banche sui listini di Borsa.

Nell’ultimo mese la caduta media dei titoli bancari è stata di oltre il 20% del loro valore di mercato, proprio mentre lo spread è schizzato da 130-140 punti base fino a sfiorare i 300 punti. Durante la crisi del 2011, per fare un paragone, le banche hanno quotato valori medi del 50% del loro patrimonio netto. Ma all’epoca questi valori depressi erano giustificati dalla redditività bassa o negativa e dal forte carico di sofferenze. Oggi il quadro è diverso: le banche sono tornate a fare utili e sono fortemente calati gli stock di npl (non performing loan) e di accantonamenti. Lo stato di salute ritrovato rischia ora, se lo spread dovesse avere nuove fiammate verso l’alto, di essere mal rappresentato in borsa. Numeri alla mano, emerge una differenza abissale tra patrimonio netto e valore in borsa. Secondo rapide stime, con 8 miliardi si potrebbero comprare Ubibanca e BancoBpm: due banche che insieme valgono oltre 20 miliardi.

“Si rischia di consegnare l’industria bancaria, già posseduta oggi per il 60% da fondi stranieri, a qualche grande banca europea. Ma il pericolo non è solo quello di mettere in saldo le nostre aziende bancarie. Con loro verrebbero svenduti anche i lavoratori e il loro futuro. I grandi gruppi stranieri infatti non avrebbero motivo di preoccuparsene. Con una logica a breve termine spremerebbero le banche acquistate solo per farne profitti velocemente. Non possiamo permettercelo” osserva Sileoni. “Carlo Messina di Intesa ha detto che a 32-33 miliardi di euro il gruppo è a rischio scalata. Ha ragione, perché a quella quotazione varrebbe solo il 60% del patrimonio. Ora Intesa fa utili e si è ripulita dalle sofferenze, ma a quel prezzo diventa preda e non predatore. A noi interessa salvaguardare i posti di lavoro di ogni istituto bancario” conclude il segretario generale della FABI.