Evitare l’effetto shit-in, shit-out e puntare sulla centralità del cliente sono le strategie per avere successo

big data

Cresce nel mondo l’utilizzo dei big data, divenuti ormai fondamentali per riuscire a comprendere le esigenze e i bisogni dei consumatori. Sono infatti sempre di più le organizzazioni che decidono di raccogliere e analizzare i dati sia interni che esterni all’azienda, provenienti dai più svariati canali, così da avviare strategie di vendita maggiormente efficaci.

Conoscere in modo accurato il consumatore aiuta infatti ad aumentare le performance delle imprese che possono così ridurre diverse inefficienze che in passato portavano ad una riduzione delle marginalità. Cali nei ricavi questi che oggi risultano fatali a causa della maggiore concorrenza in un mercato divenuto ormai massivamente globale e multicanale. Il data management è quindi la risposta alla crescente complessità, diventando pertanto un asset indispensabile per la competitività d’impresa” ha spiegato Alberto Frausin, presidente di GS1 Italy.

Al fine di riuscire ad ottenere i migliori benefici è però necessario che venga raggiunta la data quality: i dati da analizzare devono infatti essere di alta qualità.

Se le informazioni analizzate sono errate, non complete, duplicate e non aggiornate, le analisi effettuate non possono che portare all’implementazione di iniziative di marketing non coerenti con le effettive volontà della clientela” ha aggiunto Francesco Pugliese, CEO di Conad, indentificando questo fenomeno con il termine Shit-in, Shit-out (tradotta all’inglese per essere meno volgari!)

Non solo: il data management e la qualità delle informazioni non devono riguardare soltanto la singola azienda produttrice, ma è necessario coinvolgere tutta la filiera, creando un vero e proprio ecosistema di condivisione ed integrazione dei dati tra i diversi player in atto.

Proprio in questa direzione gli ecosistemi dovrebbero investire in soluzioni tecnologiche e competenze specifiche, affiche l’analisi dei big data diventi veramente efficace. Tali spese però, non devono essere percepite come un mero costo, ma rappresentare un investimento volto all’ottenimento di un payback nel medio e lungo termine. Un caso analogo risale agli anni 80 quando in Barilla abbiamo attivato il rifornimento automatizzato della merce. Inizialmente, sebbene siano state sostenute diverse spese, oggi abbiamo registrato un grande ritorno. Basti pensare che ora il 75% dei nostri volumi viene gestito in just in time, permettendoci di liberare risorse per destinarle a lavori ad alto valore – ha aggiunto Francesco del Porto, president region Italy & global chief customer officer di Barilla.

I dati da soli pero non bastano: nel processo di acquisizione e gestione delle informazioni, non deve però essere dimenticato di porre al centro delle strategie il cliente e non il prodotto come avveniva in passato.

Le aziende sono oggi chiamate ad attuare la customer centricity, considerando quindi il consumatore al centro del processo di acquisto, individuando inoltre il momento nel quale si manifesta il suo bisogno di acquisto. Luogo fondamentale nella nascita delle esigenze del consumatore è la propria abitazione che, grazie alle nuove tecnologie, sta diventando sempre più controllabile in ottica di ottenimento delle informazioni. Non a caso infatti, i grandi player stanno cercando di “entrare” nelle case delle persone. E per farlo si deve fare leva sul Brand che oggi rappresenta una vera e propria delega fiduciaria alla quale affidarsi soprattutto in un contesto di overload del mercato come quello attuale” ha spiegano Giuliano Noci, prorettore del Politecnico di Milano.

Dati di qualità e centralità del cliente sembrano quindi gli strumenti che le imprese devono gestire con successo se vogliono incrementare il proprio business.