Il summit di Capgemini Italia sui trend di mercato e le opportunità della trasformazione digitale

Xtraordinary Xecutive Xchange Xperience

Si è svolto il 10 maggio presso il Teatro Vetra di Milano l’evento Capgemini X.0: Xtraordinary Xecutive Xchange Xperience. Il summit ha riguardato le sfide che la trasformazione digitale lancia alle maggiori aziende dei settori retail, manifatturiero, bancario e assicurativo.

Forte dei risultati delle proprie ricerche, Capgemini si è posta l’obiettivo di creare un’occasione di riflessione sull’Italia Digitale, i trend di mercato e le opportunità offerte dalla digital transformation, che sta rivoluzionando le fondamenta del business in diversi settori contemporaneamente.

L’evento è stato aperto da Andrea Falleni, AD di Capgemini Italia, che ha dichiarato: “Abbiamo voluto questo momento di incontro e scambio per indagare l’impatto della trasformazione digitale sulle diverse industry e comprendere come le aziende di vari settori stanno affrontando questo percorso di medio-lungo termine, contaminandosi a vicenda. In questo contesto Capgemini rappresenta il partner ideale per accompagnare le aziende nel loro percorso di trasformazione, grazie a solide competenze, una presenza capillare in più di 40 paesi e un’attenzione particolare allo sviluppo dei talenti. Grazie alla nostra expertise e alle nostre best practice internazionali, siamo in grado di aiutare le aziende a creare la vision necessaria per raggiungere nel tempo gli obiettivi di una trasformazione digitale basata su 3 pillar fondamentali: consolidamento delle relazioni con i clienti e partner, riprogettazione delle operation in termini di efficientamento ed evoluzione della customer experience in ottica di omnicanalità.”

A seguire è intervenuta Bianca Granetto, Research Vice President di Gartner, che ha offerto ai presenti all’incontro una panoramica sul valore del mercato digitale attuale e futuro.

Successivamente, Marco Taisch del Politecnico di Milano ha condiviso il punto di vista accademico sulla Digital Transformation. Infine, è intervenuto Giulio Tremonti, Presidente dell’Aspen Institute e in precedenza Ministro dell’Economia con una riflessione sul rinascimento digitale.

Inoltre, attraverso un format che ha visto alternarsi tre tavole rotonde moderate dal direttore di Class CNBC Andrea Cabrini, sono stati interpellati alcuni dei player che stanno trasformando la sfida del digitale in opportunità, rappresentanti di importanti realtà finanziarie e corporate italiane, tra cui: Sandro De Poli, Presidente e AD GE Italia e Israele; Luca Vanetti, Responsabile Digital & Omnichannel Banking Banco BPM; Giorgio Santambrogio, AD Gruppo Végé e Presidente Associazione Distribuzione Moderna; Marco Sesana, Country Manager e AD Generali Italia; Eugenio Sidoli, Presidente e AD Philip Morris Italia; Giuliano Noci, Prorettore Politecnico di Milano. A questi è stato chiesto di esprimere il proprio parere sui dati elaborati dal Digital Transformation Institute (DTI) di Capgemini, aprendo un dibattito su temi trasversali e focalizzati su:

  • Manufacturing: la smart factory nel mondo 4.0
  • Banking e Insurance: la frontiera del digitale nel mondo finanziario
  • Retail e Consumer Products: come cambia la customer experience

Prospettive sul mercato digitale

Secondo quanto emerso dall’evento, la struttura aziendale si sta trasformando come conseguenza del valore radicalmente diverso che oggi viene dato alla tecnologia. Come gli stessi amministratori delegati delle aziende affermano, una delle priorità di business attuali è proprio il tema della trasformazione digitale.

L’avvento del digitale nel settore corporate ha avuto origine circa sei anni fa, quando il mondo ha cominciato a capire il vero potenziale della tecnologia: da sempre riconosciuta come mezzo per creare e portare innovazione e rendere efficienti i processi, oggi costituisce uno strumento strategico per realizzare un modello di business competitivo. La tecnologia dunque rimane un mezzo verso un fine, ma è quest’ultimo ad aver subito un mutamento: è il meccanismo per realizzare crescita, vantaggio competitivo e valore differenziante.

In particolare, le aziende stanno iniziando a strutturarsi per gestire questo nuovo valore portato dalla tecnologia, ad esempio creando nuovi ruoli all’interno dei propri organici e modificando quelli preesistenti. In Italia, una delle barriere che da sempre rallenta il processo – rispetto alla media dei paesi europei – è la scarsa cultura in fatto di tecnologia, sebbene ci siano aziende italiane che hanno colto il potere creativo della tecnologia e hanno intrapreso da tempo un percorso di trasformazione.

C’è però un dato molto positivo, che comprova che in Italia c’è una presa di consapevolezza sul digitale: stanno aumentando le spese e gli investimenti in tecnologia, allineandosi alla media dei paesi europei, complice anche l’incentivazione attorno all’industria 4.0.

Infine, ci si è resi conto di quanto incida la tecnologia sui costi operativi di un’azienda (business cost optimisation), di come questa vada a reinventare e reingegnerizzare alcuni processi operativi, riducendone i costi o addirittura autofinanziandosi.

La tecnologia intesa come valore dirompente, offre due strade da percorrere: o si subisce passivamente questo cambiamento, o ci si mette al passo imparando a gestirla. C’è bisogno di modelli fiduciari nuovi – a partire dal rapporto tra fornitore e utente – che devono facilitare la gestione di questa complessità in maniera strategica. Bisogna costruire innovativi modelli basati sulla fiducia, che prendono in considerazione la società più allargata – includendo ad esempio i consumatori – e nuovi codici.

Manufacturing

La digital transformation è la prossima frontiera dopo l’automazione industriale, che rende quest’ultima interconnessa e intelligente per poter utilizzare tutte le apparecchiature all’interno dei processi produttivi in maniera ottimale.

Smart factory, brilliant factory, impresa 4.0: sono alcune delle definizioni che potrebbero essere assegnate nei prossimi anni alle aziende del settore manifatturiero. Per ora possiamo osservare che, grazie all’interconnessione tra le macchine, la digitalizzazione dei processi produttivi e l’avvento della meccatronica – unione tra meccanica, elettronica e informatica – l’industria di domani sarà sempre più intelligente. A guidare il cambiamento saranno le nuove tecnologie: dall’Internet of Things ai Big Data Analytics, dall’Intelligenza Artificiale alla Robotica Avanzata.

La smart factory nel mondo 4.0

Secondo lo Smart Factories Report elaborato dal Digital Transformation Institute di Capgemini, che ha coinvolto oltre 1.000 dirigenti di grandi aziende manifatturiere di 8 paesi, gli investimenti in smart factory porteranno nei prossimi 5 anni ad un aumento del 27% dell’efficienza produttiva, pari a 500 miliardi di dollari. Uno sviluppo globale su base annua 7 volte il tasso di crescita mondiale dal 1990 ad oggi. Secondo lo studio, già il 76% dei produttori ha intrapreso la strada del digital manufacturing negli ultimi 5 anni, il 56% investendo più di 100 milioni di dollari in nuove tecnologie e il 20% più di 500 milioni di dollari. Tuttavia solo un piccolo numero di aziende (6%) è in una fase avanzata di digitalizzazione della produzione.

Di seguito alcuni vantaggi della rivoluzione digitale di cui stanno beneficiando le industrie manifatturiere:

  • Migliore produttività, con la riduzione di errori e fermi macchina e conseguente miglioramento del rendimento del capitale investito in macchine e impianti;
  • Riduzione delle tempistiche, con un notevole abbattimento dei costi;
  • Maggiore flessibilità, attraverso la produzione di piccoli lotti ai costi della grande scala con una razionalizzazione di spesa 12 volte inferiore a quella dal 1990 ad oggi;
  • Più velocità, con la riduzione del time to market. Nel manifatturiero le tempistiche potrebbero ridursi di ben 13 volte rispetto al passato;
  • Armonizzazione della supply chain, grazie a processi logistici e produttivi di fabbrica con tracciatura digitale delle materie prime e semilavorati;
  • Riduzione del margine di errore grazie all’utilizzo di sensori di precisione, che permettono un aumento della qualità;
  • Miglioramento della competitività grazie alle maggiori funzionalità derivanti dall’IoT e l’interconnessione delle macchine;
  • Infine, maggior sicurezza per gli operatori, grazie a procedure operative digitali, con conseguente riduzione degli infortuni.

In prospettiva, entro la fine del 2022 il 21% dei produttori prevede la trasformazione del proprio stabilimento in fabbrica intelligente. Tra i paesi che guidano la rivoluzione digitale, al primo posto ci sono gli Stati Uniti, le cui aziende dichiarano nel 54% dei casi di aver avviato soluzioni innovative in chiave smart factory. Seguono Germania (46%), Francia (44%) e Regno Unito (43%). Sebbene l’Italia faccia registrare una percentuale inferiore (33%), il fatto di risultare la seconda manifattura europea dopo Germania – la settima nel panorama internazionale – fa ben sperare che a breve avvenga un fenomeno espansivo della fabbrica intelligente. A guidare questa transizione saranno soprattutto settori come quello della manifattura industriale, aerospaziale, della difesa e automotive.

Banking e insurance

Il tradizionale mondo bancario e quello assicurativo hanno già iniziato a fare i conti con le nuove frontiere del digitale, dominate da player tecnologici specializzati come le fintech e le insurtech. Questo incontro ha consentito di sviluppare tecnologie digitali, carte intelligenti contactless, app per i pagamenti, dispositivi wearable e di realtà aumentata, algoritmi di intelligenza artificiale che usano big data. Grazie alla digital disruption, infatti, i financial services stanno reinventando l’esperienza dei clienti sviluppando offerte sempre più personalizzate e interattive, cambiando lo stesso mestiere di assicuratore o banker.

Da questa situazione, emerge la necessità di fare sistema tra operatori tradizionali e nuovi player tecnologici, facendo leva sulla fiducia che i consumatori hanno nei brand del comparto bancario e assicurativo e offrendo loro servizi più digitali, agili e accessibili sempre e ovunque.

La frontiera del digitale nel mondo finanziario

Digitale e banche

La sfida del digitale è molto importante per il settore bancario, anche se ha conservato in buona parte il proprio modello di business, al netto di alcuni cambiamenti che sono già avvenuti o che sono attualmente in atto. La disruption vera e propria è però alle porte: innovazione tecnologica e aspettative della clientela, nuove regole come la direttiva PSD2, che l’anno prossimo costringerà gli operatori bancari ad aprire il proprio set informativo e di servizi non solo alle fintech ma a qualsiasi terza parte lo richieda, con requisiti di vigilanza e regolamentazione molto più leggeri di quelli tradizionali.

È necessario quindi ricercare l’innovazione nel servizio, cercando di offrire una nuova esperienza digitale volta a intercettare le esigenze dei consumatori ma al contempo cercando di abbracciare un percorso di trasformazione digitale molto più organico, che permetta la fruizione di una customer experience differente.

Secondo il World Retail Banking Report 2017 elaborato da Capgemini e Efma, che coinvolto oltre 126 alti dirigenti del settore, il 75,3% delle fintech e il 91,3% degli istituti di credito prevedono un futuro di collaborazione caratterizzato, da un lato, da un nuovo approccio digitale alla customer experience e dall’altro, dalla competenza in ambito normativo e l’esperienza nel risk management delle istituzioni tradizionali. Una convergenza ormai inevitabile se si pensa che la metà dei clienti bancari a livello mondiale utilizza già prodotti o servizi di almeno una fintech.

Digitale e assicurazioni

Impatti importanti sono stati rilevati anche sul fronte assicurativo dove, degli oltre 8.000 clienti intervistati a livello mondiale per l’edizione 2017 del World Insurance Report 2017 di Capgemini, il 31,4% ha fruito dei servizi offerti da una insurtech evidenziandone il carattere “innovativo” e il buon “rapporto qualità-prezzo”.

Nel complesso, tuttavia, i fruitori dei servizi non sono ancora pronti per una svolta tech, in quanto ritengono i provider tradizionali più affidabili sui temi inerenti alla sicurezza e la protezione contro le frodi (45,9%), il riconoscimento del brand (43,7%) e l’interazione personale (41,6%). In aggiunta, il 39,8% dei clienti afferma di aver fiducia nel proprio assicuratore, comparato con il 26,3% di chi si fida delle insurtech.

Un’attenzione particolare dovrà essere posta sulla customer experience, per la quale il cliente si aspetta prestazioni migliori e una presenza sempre maggiore da parte del brand tradizionale di cui si fida e con cui si aspetta di poter dialogare e avere risposte ai propri bisogni in qualunque luogo si trovi.

Per il 75% degli oltre 100 senior executive di compagnie assicurative intervistati nel report in oltre 15 mercati, l’introduzione di tecnologia rappresenta comunque un valido supporto per il business delle assicurazioni.

Se da un lato, però, è necessario cambiare processi e modalità di sviluppo dei prodotti, dall’altro il digitale nel mondo assicurativo è arrivato solo in minima parte, dal momento che la componente umana rimane un fattore fondamentale. Visto il potenziale della tecnologia, è comunque importante interrogarsi sul valore aggiunto che la tecnologia potrebbe offrire agli operatori del settore.

Digitale e pagamenti

L’incontro tra il mondo digitale e quello dei servizi finanziari ha dei risvolti anche su un nuovo ecosistema nei pagamenti. Il World Payment Report 2017 di Capgemini stima che i volumi globali dei pagamenti digitali saliranno in media del 10,9% entro il 2020. Per ora i contanti restano ancora la forma di pagamento più comune soprattutto per le piccole transazioni.

Tuttavia, la crescente digitalizzazione potrebbe incidere negativamente sulla sicurezza delle transazioni. Se da un lato la cybersecurity nel settore finanziario gode di un maggior livello di fiducia da parte dei consumatori (83%) rispetto a qualsiasi altro settore, dall’altro solo un executive bancario su cinque è fiducioso della propria capacità di rilevare violazioni e di neutralizzarle.

L’introduzione del regolamento europeo General Data Protection Regulation (GDPR), prevista per il 25 maggio, rappresenterà una grande opportunità di trasformazione del business per diventare vere e proprie fortezze digitali.

Retail e consumer products

Le tecnologie digitali stanno impattando sul mondo retail: dal fisico al virtuale, dal negozio di quartiere all’e-commerce, dall’offline all’online, dalla user experience alla customer experience personalizzata. Tutto ciò sta generando un divario tra domanda e offerta e tra clienti e aziende.

Il rapido cambiamento del retail indotto dalla tecnologia sta modificando le aspettative digitali dei consumatori, orientati verso nuovi percorsi di acquisto: dalla vendita dei prodotti, sempre più virtuale grazie al consolidamento di operatori e-commerce, a quella di servizi e utilities, alla ricerca invece di un’identità più “reale” con l’apertura di store permanenti e sportelli di ascolto temporanei in luoghi pubblici di ingaggio e di fidelizzazione.

Non è più possibile prescindere dal fatto che il processo d’acquisto è profondamente cambiato: la fase dello shopping che un tempo era spazialmente e temporalmente delimitata, ora deve offrire la possibilità di effettuare operazioni d’acquisto ovunque e in qualsiasi momento. Il consumatore è al centro di questo modello: il focus sul cliente attraverso l’omnicanalità e la tecnologia digitale diventa vitale per la sopravvivenza di qualunque business.

Come cambia la customer experience

Dal report Making the Digital Connection: Why Physical Retail Stores Need a Reboot, pubblicato dal Digital Transformation Institute di Capgemini, che ha raccolto le voci di 6.000 consumatori e di 500 executive in 9 Paesi, emerge un crescente divario tra retailer e consumatori in merito all’importanza dei negozi fisici: mentre l’81% dei dirigenti d’azienda considera importante il punto vendita, solo il 45% dei consumatori finali condivide la stessa opinione, dichiarandosi deluso dalle esperienze di acquisto. È necessario per il retail operare in modo da fornire nuova vita al punto vendita, che deve diventare un elemento fondamentale nella digitalizzazione dell’esperienza di consumo.

Ma il 54% dei manager è convinto che i punti vendita reali impieghino troppo tempo nell’intraprendere un percorso di digitalizzazione.

I limiti del negozio tradizionale sono dovuti a:

  • Difficoltà nel confrontare i prodotti per il 71% dei consumatori;
  • Lunghe code alle casse per il 66% dei consumatori;
  • Difficoltà a reperire il prodotto desiderato e scarsa rilevanza delle promozioni per il 65% dei consumatori.

Per il 70% degli intervistati però il negozio offline ha ancora un grosso vantaggio: quello di poter provare e toccare con mano i prodotti prima di acquistarli.

Come conseguenza di questa situazione, i retailer stanno cercando di far incontrare le due modalità di vendita, abbracciando il concetto di “omnicanalità”, ovvero il raggiungimento del cliente tramite diversi canali sia fisici sia virtuali. Si prospetta un superamento dell’idea classica di filiera a favore di una commistione reciproca tra differenti soggetti della catena, per raggiungere il cliente finale. Per ora, però, solo 2 imprese su 10 hanno in essere progetti di questo tipo.

Lo studio mostra che tre quarti dei consumatori (75%) desidera sapere se la merce è disponibile prima di recarsi in un negozio, mentre il 73% si aspetta la consegna in giornata dei prodotti acquistati in-store. Inoltre, il 57% desidera che i retailer offrano ben più della semplice vendita di un prodotto, richiedendo una vera e propria “experience a 360 gradi” grazie, ad esempio, a nuovi spazi, uno storytelling sul brand, corsi di cucina o fai-da-te, visite in negozio premiate con punti fedeltà. Proprio per questo, 8 clienti su 10 sono pronti a spendere di più per una miglior customer experience.

A tutto ciò si aggiungono tecnologie in grado di coinvolgere, di interpretare e anticipare le preferenze dei clienti: assistenti vocali, vetrine e specchi interattivi, camerini intelligenti, touch point che informano, manichini che profilano volti e gusti con telecamere montate all’interno degli occhi. L’omnicanalità costruisce una nuova esperienza cliente e mette l’utente al centro di un sistema che lo informa costantemente su quello che il punto vendita può offrirgli in accordo con le sue necessità. Ma il futuro del retail non sarà governato solo da algoritmi e data science. In un’economia digitale il fattore umano e la scienza comportamentale rimarranno punto di partenza per il brand. La tecnologia nel retail fisico, in questo caso, deve prendendosi carico dei lavori ripetitivi o a basso valore aggiunto, per consentire al personale di essere maggiormente orientato al cliente e a disposizione per offrire informazioni e “consulenza” sulla filiera, sull’origine del prodotto, su come abbinarlo, ecc. La componente umana rimane fondamentale per rendere l’esperienza d’acquisto più vicina al consumatore.

Finché il punto vendita rimane legato a una visione di prodotto, nel settore sarà difficile realizzare il pieno potenziale della digitalizzazione: non si tratta di un tema tecnologico, ma strategico e organizzativo. La capacità di costruire un’architettura di interazioni virtuose con l’individuo o il cliente sarà l’elemento dirompente che farà la differenza.

Una riflessione tra rinascimento e digitale

Se dovessimo fare un salto indietro nel tempo, Marx e Goethe non avevano a disposizione strumenti digitali ma formularono due profezie fondamentali che oggi, a distanza di due secoli, si sono verificate: Marx aveva predetto che all’antica indipendenza nazionale si sarebbe sovrapposta un’interdipendenza globale, mentre Goethe aveva previsto che i «biglietti alati» avrebbero volato più in alto di quanto non avesse mai fatto la fantasia dell’uomo, malgrado gli sforzi.

Con la rete abbiamo assistito a una dimensione che vede superati congiuntamente i confini nazionali e quelli reali, i confini politici e quelli del mondo fisico, a metà tra il virtuale e il reale. In tutta la storia dell’umanità non era mai avvenuto un cambiamento così forte in un tempo così breve.

Con la globalizzazione tutto è cambiato. Il primo cambiamento si è verificato nel ‘500 con l’arrivo del Rinascimento, luogo di esplosione della modernità secolare, dove l’uomo – invertendo la dimensione assunta nel Medioevo – torna alla natura, estendendo il suo campo all’arte ma anche alla scoperta, fino ad arrivare all’invenzione politica.

Lo scisma inglese rappresenta il primo caso di Brexit nel mondo: viene rimosso il limite imposto dall’antica religione della chiesa romana e si inventano nuove religioni più «business-friendly». Ancora: appaiono i libri stampati – una sorta di world wide web di un tempo – si affermano nuove visioni scientifiche e certamente rivoluzionarie. Si passa da Tolomeo a Copernico. Cedono le antiche strutture politiche e nascono gli stati-nazione. Questo è anche in un certo qual modo la fine del rinascimento italiano: l’inizio della decadenza dell’Italia, artefice e vittima del suo destino, la scoperta non solo scientifica ma anche geografica delle Americhe sovverte l’ordine e determina il declino del nostro paese.

Il secolo successivo in Italia è il secolo della commedia dell’arte, dove la maschera diventa il luogo di rifugio di un’umanità disperata per la perdita del suo status originario. Cambia la forma mentis con le strutture fisiche e sociali, in primis il linguaggio, che diviene sincopato come ad esempio lo sono oggi i nostri tweet.

Ma non solo: nel ‘600 comincia ad avverarsi l’antica profezia dei Francescani di Oxford: non più l’uomo creato da Dio ma l’uomo creatore di se stesso.

L’uso dei dati pone il problema dell’uomo schedato e guidato nelle proprie aspettative, le proprie paure e le proprie determinazioni di comportamento. Occorre anzitutto parlare di valore dei dati: i dati sono assolutamente fuori da ogni criterio o categoria contabile. La quota emergente e strategica di ricchezza è fuori da ogni forma di controllo. Il dominio dei dati, invece, viene regolato e tassato mediante l’autorità Antitrust. I dati, infatti, operano nel campo della più assoluta «anomia», cioè assenza di regole, che costituisce un’arma a doppio taglio.

In futuro le macchine sostituiranno la forza lavoro, incidendo negativamente sull’occupazione e dovendo far fronte a una speranza di vita sempre più lunga. Insomma, la storia che sembrava conclusa è tornata dopo alcuni anni e sta presentando il conto all’umanità con gli interessi e gli squilibri, con le crisi prima finanziaria, poi economica, poi sociale, infine anche politica.

L’intelligenza artificiale è certamente positiva ma pone, per la prima volta nella storia, un grande problema morale, creando una discrepanza tra intelligenza artificiale e coscienza morale. Guardando all’impatto dell’IA sulle strutture sociali, è da un lato positivo per salute e ambiente, ma presenta anche un lato problematico. È importante, infatti, che coloro che fanno parte dell’«élite» capiscano che cosa sta succedendo non solo all’interno del proprio dominio ma anche all’esterno. I processi in atto non possono certamente essere forzati né ignorati.