L’indice Ifiit mostra il migliore valore registrato nell’ultimo biennio

ict migliora la crescita

Buone notizie per il mondo digitale: cresce infatti la fiducia sugli investimenti in innovazione tecnologica. A confermarlo è l’indice Ifiit del mese di ottobre giunto a toccare quota 35,40 punti, il migliore valore registrato nell’ultimo biennio, a conferma di una tendenza – anche se modesta, ma continuativa da alcuni mesi – volta al miglioramento delle prospettive di investimento nel nostro Paese.

Si registra, in particolare, una maggiore attenzione da parte di gruppi di imprenditori verso la presa in considerazione di progetti e di soluzioni per un salto di qualità organizzativa. Restano invece presenti (e si consolidano in alcune aree del Paese) le difficoltà di reperimento del credito, un fattore penalizzante soprattutto le attività a basso cash-flow che richiedono investimenti a medio e lungo termine per lo sviluppo.

I settori più interessati all’innovazione tecnologica si confermano il meccanico, il chimico-farmaceutico, i trasporti. Restano sostanzialmente stabili e allineati all’indice i comparti tradizionali del made in Italy, della moda e dell’arredamento, insieme all’agroalimentare e alla logistica.

Secondo alcuni osservatori intervistati, esistono le condizioni per cui è altamente probabile che anche le piccole aziende siano progressivamente coinvolte nei prossimi mesi in processi di merger & acquisition, ma anche cessione di attività a nuovi operatori, in prevalenza stranieri.

In questo quadro si accentua la divaricazione tra le aree geografiche del Settentrione e del Meridione, che manifestano diversità crescenti nei valori di propensione agli investimenti. Inoltre la maggior parte degli imprenditori intervistati ritiene che in materia di infrastrutture tecnologiche il nostro Paese abbia un gap tecnologico rilevante rispetto alle altre nazioni più progredite (per il 70% degli intervistati).

Investimenti per le imprese. Parole e natura

A fronte di dati deludenti sul versante dei prestiti bancari (riduzione dell’erogato alle imprese quale conseguenza dell’aumento delle sofferenze) il trend della propensione ad investire in innovazione mostra una traiettoria di risalita.  Il fattore di criticità del sistema del credito deve essere tenuto in debita considerazione. Infatti: in che misura la propensione ad investire cresce in funzione delle ristrettezze bancarie? Molti studi economici hanno affrontato e continuano ad esaminare la questione. In questa sede basterà prendere in considerazione due aspetti.

Il primo riguarda la tenuta di fondo del sistema industriale italiano, nel senso che una profonda e vasta vitalità tenderà a manifestarsi proprio nei periodi in cui si colgono segnali di ripresa sia a livello internazionale e sia a livello nazionale. E ciò sembra che stia accadendo, almeno da alcuni mesi.

Il secondo aspetto concerne più da vicino la natura e la complessità degli investimenti, produttivi e innovativi. Vi sono aziende che hanno a disposizione risorse per svolgere autonomamente e in continuazione il processo di riflessione sui miglioramenti organizzativi e di competitività. Altre si rivolgono a strutture esterne, anche in maniera occasionale. Altre ancora procedono a salti evolutivi, peraltro costrette a farlo più per il cambiamento del quadro normativo che per reale disposizione a migliorare l’efficienza.

Pensiamo ad esempio a due settori e confrontiamoli: la robotica industriale e il comparto assicurativo. Nel campo dell’automazione industriale si registra il più alto livello di investimenti in ricerca e sviluppo, le quote più significative di acquisti in prodotti informatici e servizi di consulenza. La formazione è un asset strategico per realtà come Comau, costrette a rincorrere una dinamica concorrenziale e agguerrita ormai a livello planetario.

Nelle realtà assicurative si è assistito per molti anni a una rendita di posizione per i gruppi legati a molti servizi obbligatori (la Rc Auto ad esempio) e solo da qualche anno comincia a farsi largo una concorrenza più effervescente e basata sull’uso delle nuove tecnologie digitali (pensiamo ai servizi di informazione via cellulare a seguito di un incidente). Di fatto però si rilevano scarsi o nulli investimenti in attività di miglioramento e di allargamento delle competenze, se non sul lungo termine.

Da qualche tempo, poi, sono presenti anche le start-up, aziende fortemente focalizzate sull’utilizzo di nuove tecnologie e nuovi materiali per offrire novità all’utenze sempre più orientata all’era digitale, alle smart cities. In questo caso investimento in innovazione e business sono tutt’uno, mentre nelle altre due tipologie di aziende c’è ancora una distinzione più o meno forte. Nel nostro Paese, anche se si parla molto di start-up, quelle realmente esistenti e funzionanti con i conti a posto non superano le duemila unità.

In definitiva, quando si parla di innovazione delle imprese occorre distinguere la natura stessa delle realtà a cui si deve fare riferimento. Anche dal punto di vista del legislatore e del sistema sociale nel suo complesso. Nelle discussioni politiche e nelle valutazioni economiche il termine “investimenti alle imprese” spesso raccoglie una serie di insiemi di elementi tra loro diversi e eterogenei.

Sarebbe il caso di cominciare a rendere più visibili e concreti alcuni distinguo. Solo così sarebbe più facile comprendere dove si annidano le “sofferenze bancarie” e come e dove si potrebbe premiare meglio l’innovazione.