Un nuovo metodo di insegnamento destrutturato aiuta gli studenti ad acquisire le competenze richieste dalle aziende. Da una ricerca commissionata da Ricoh Europe emerge come gli studenti chiedono alle università maggiori innovazioni tecnologiche. In Italia si deve innovare di più

Le innovazioni tecnologiche stanno trasformando il modo di fare business. E’ un punto di non ritorno, che ripete il percorso già compiuto dagli italiani: le nostre abitudini sono ben diverse da quelle di 5 anni fa, basti pensare all’esplosione dei device mobili, ormai irrinunciabili. Se quindi il lavoro e lo stile di vita si sono irrimediabilmente trasformati , come mai il settore dell’Istruzione resta ancorato ad un metodo di insegnamento tradizionale?

Non è un caso che, come emerso da una recente ricerca sponsorizzata da Ricoh Europe, la maggior parte degli studenti – nativi digitali – chiede a scuole e università più apertura nei confronti delle nuove tecnologie: ma questa aspettativa, in molti casi, è poco più che un’illusione. La questione sta diventando il tallone d’Achille del nostro Paese: le “scarse competenze tecnologiche” producono un aumento del gap tra la il mondo dell’istruzione e il mondo del business, con conseguenze negative in termini di crescita e sviluppo. La situazione rischia, infatti, di precipitare: se le imprese, come auspicabile, continueranno sulla via della digitalizzazione, il gap con le scuole – già evidente – diventerà incolmabile. Se, invece, i neodiplomati e neolaureati ricevessero adeguata formazione tecnologica (abituandosi, per esempio, a studiare-lavorare attraverso dispositivi mobile e piattaforme digitali) incontrerebbero sicuramente meno difficoltà ad inserirsi in azienda, e sarebbero in grado di offrire un contributo maggiore. Competenze digitali per un mondo sempre più digitale, quindi.

Le scuole si stanno trasformando?

Le tecnologie non mancano, sono l’assenza di fondi e i problemi di back-office ad impedire agli istituti di innovare come dovrebbero e come vorrebbero. Il 77% dei manager del settore dell’Istruzione intervistati afferma, infatti, che le potenzialità dei sistemi di front-office sono frenate proprio dalla presenza di sistemi di back-office non più aggiornati. Per quanto riguarda invece i budget, mentre alcuni Paesi del Vecchio Continente investono nelle nuove tecnologie (nel Regno Unito vengono spesi ogni anno 450 milioni di sterline per l’acquisto di lavagne interattive, tablet e pc[1].), in Italia lo stallo i fondi sono ben pochi.

Buona parte delle scuole del nostro Paese, per esempio, non utilizza software gestionali per controllare e automatizzare le operazioni svolte ogni giorno. Un dato di certo non positivo, considerando che già dal 2012 esistono norme (evidentemente non rispettate) che impongono l’uso di questi applicativi negli istituti scolastici. E invece, circa il 40% delle scuole non ha ancora il registro digitale.

Ma come sarà quindi la scuola nel prossimo futuro?

Le opinioni emerse dal Report Ricoh sono differenti Sebastian Thrun, Professore di Artificial Intelligence alla Stanford University degli Stati Uniti è convinto che le lezioni in aule fisiche siano destinate a diventare sempre meno frequenti a causa dello diffusione dei MOOC (Massive Online Learning Courses), corsi online accedibili da utenti provenienti da ogni parte del mondo. Diversa l’opinione di Patrick McGhee, Vice-Chancellor della University of East London nel Regno Unito, secondo cui l’apprendimento on line non può sostituire l’esperienza reale e condivisa, fattore ritenuto fondamentale nella formazione.

In ogni caso la tecnologia costituirà un elemento fondamentale e il modello didattico dovrà essere opportunamente rivisto. Della stessa idea è Dianora Bardi – docente di lettere e Vice Presidente Associazione Impara Digitale – che per prima nel nostro Paese (nel 2010) ha introdotto i tablet nell’istituto in cui insegna, il Liceo Lussana di Bergamo.

Con un investimento di 10.000 euro è stato destrutturato il processo educativo. L’obiettivo era avvicinarsi agli studenti che già 5 anni fa erano molto tecnologici: offrire un metodo tradizionale non aveva molto senso allora, figuriamoci oggi!” ha spiegato la professoressa.

Come posso quindi insegnare ai giovani usando strumenti vecchi di 20 anni? Sarebbe una sfida persa in partenza. – sostiene la docente – Utilizzare invece un metodo moderno con dispositivi elettronici, libri digitalizzati e dove gli studenti possano collaborare anche al di fuori della scuola, permette di migliorare le competenze degli allievi e renderli più partecipi al processo educativo”.

Dopo un anno di sperimentazione con ottimi risultati, l’iniziativa avviata dalla professoressa si è trasformata in un vera e propria Associazione: il centro studi Impara Digitale, che si pone l’obiettivo di guidare le scuole di tutta Italia nel percorso di digitalizzazione

Il digitale non sostituisce il tradizionale ma lo integra” ha però voluto ricordare la professoressa Bardi.


[1] http://www.telegraph.co.uk/education/educationnews/9681317/Schools-wasting-450m-a-year-on-useless-gadgets.html