Le aziende hanno continuato a operare e imposto cambiamenti permanenti ai propri modelli organizzativi

Lavoro da remoto: vantaggi e svantaggi della nuova normalità

Negli ultimi dieci o venti anni, aziende e comunità tecnologiche hanno mai discusso veramente del “futuro del lavoro”?

Una nuova consapevolezza è arrivata oggi, nel 2020, quando la pratica ha di fatto superato tutte le previsioni astratte. Il “futuro del lavoro” è qui, e attraverso modalità che non sono per nulla nuove.

Il remote working, a ben vedere, era tra noi da anni, è il contesto che lo circonda ad essere cambiato.

La conversazione accademica è divenuta in brevissimo tempo una realtà e, anche se purtroppo la pandemia è stata la cartina al tornasole per dimostrare ciò che molti già sapevano, la domanda che ora tutti si pongono è se questa nuova forza lavoro, dispersa “ovunque” e in luoghi fisici che sono ormai irrilevanti, possa davvero funzionare.

Negli ultimi sei mesi molte aziende sono state costrette a dislocare le proprie risorse umane in modalità homeworking, e per molti, questo ha rappresentato una vera e propria rivelazione. Perché? Perché ha funzionato. Le aziende hanno continuato a operare e anche a crescere e, in molti casi, hanno imposto cambiamenti permanenti nei propri modelli organizzativi. Alcune, ad esempio, hanno optato per un ufficio completamente virtuale, come Capital One e Spotify. Il punto, oggi, non è capire se la soluzione migliore sia da casa o da ufficio, il punto è poter lavorare ovunque – sviluppare cioè un approccio che funzioni sia per l’azienda sia per il dipendente, dove la produttività non si misura in base a ciò che vede un manager, ma piuttosto viene valutata in base ai risultati, con team sempre più dispersi geograficamente.

Dunque, supponendo che le aziende vogliano passare a un modello ‘anywhere’, distribuito, sorge spontanea anche una domanda: come si gestisce realmente una forza lavoro distribuita non fisicamente visibile dal management per la maggior parte del tempo, e a tempo indeterminato? In effetti, stando ai risultati di una nuova ricerca di VMware e Vanson Bourne, il 41% del management in EMEA (il 39% in Italia) teme ancora che il loro team non svolga le proprie attività quando lavora da remoto.

Lo studio ha anche rilevato un aumento del 41% dei dipendenti EMEA (percentuale che tocca il 69% In Italia) che ora vedono il lavoro a distanza come un prerequisito piuttosto che un benefit, per cui il dibattito in merito sembra già aver fatto passi avanti in modo significativo. Tuttavia, considerando questo, congiuntamente al fatto che milioni di persone in tutto il mondo stanno al momento lavorando da casa, in che modo le organizzazioni dovrebbero conciliare le loro esigenze aziendali, gli approcci gestionali e le richieste e i desideri dei loro dipendenti in relazione al luogo in cui le persone effettivamente lavorano?

Iniziare il proprio viaggio verso un approccio distribuito “anywhere”

Il mondo è cambiato. Dopo anni di animose discussioni e dibattiti, pochi avrebbero potuto prevedere eventi simili per questo 2020. E, anche se la sfida potrebbe essere più o meno la stessa per tutti, non esiste di certo un approccio unico; settori e organizzazioni avranno bisogno di un modello su misura per far funzionare davvero l’approccio “anywhere”, strategicamente e nel lungo periodo. Sappiamo, ad esempio, che certi ruoli – lavorare su un macchinario, assistere i pazienti, gestire un ristorante – richiedono necessariamente la presenza fisica. Tuttavia, ci sono altrettante occupazioni che non necessitano effettivamente di una presenza fisica, nel senso più concreto del termine.

Non lo si può negare, adattarsi a questo tipo di approccio non è un compito facile. È forse la sfida più grande che le organizzazioni abbiano mai affrontato. Ma, se la analizziamo, ci sono alcune considerazioni che possono essere fatte per affrontare questo nuovo scenario. Il lato positivo, ad esempio, è che la tecnologia non è mai stata considerata una barriera. Solo un terzo (33%) degli intervistati in EMEA (percentuale che in Italia si abbassa al 18%) ritiene che l’IT non sia attrezzato a gestire questo tipo di forza lavoro già evoluta.

In primo luogo, per realizzare qualsiasi nuovo modello organizzativo, è essenziale che la struttura esistente – spesso basata su nozioni tradizionali di gerarchia – tenga il passo del nuovo scenario. La nuova strategia deve avere un approccio dall’alto verso il basso, eppure la nostra ricerca ha mostrato che il 28% dei decision maker (il 13% in Italia) ritiene che la cultura dei vertici aziendali scoraggi il lavoro a distanza. Quindi, il management deve ripensare, e in molti casi anche riqualificarsi, per comprendere e abbracciare realmente l’idea che la produttività non dipenda esclusivamente dal tempo trascorso in ufficio. Per alcuni, questo sta causando una certa tensione. Purtroppo, notizie sulla sorveglianza inappropriata e invasiva da parte di alcuni capi che si accaniscono sul controllo remoto per cercare di mantenere la supervisione dei loro dipendenti “dispersi”, sono all’ordine del giorno. Il 59% dei dipendenti EMEA (il 69% in Italia) sente infatti la pressione di rimanere online al di fuori del normale orario di lavoro. Sarà necessario un nuovo galateo di lavoro – ad esempio, non inviare e-mail dopo le 18, anche da parte dei manager – per garantire il benessere dei dipendenti anche quando lavorano a distanza.

In secondo luogo, le organizzazioni devono essere in grado di abbracciare effettivamente questo potenziale, promuovendo i vantaggi di business che derivano da questo approccio anywhere. Naturalmente, la produttività è un criterio vitale e ogni azienda ha bisogno di un business case per mettere in atto questo cambiamento. È incoraggiante, quindi, sapere che in Italia più di un terzo (36%) dei decision maker noti un impatto positivo sui livelli di produttività, l’85% vede un miglioramento delle relazioni personali con i colleghi e il 67% si sente più sicuro di sé nel parlare in videoconferenza. Con gli strumenti, le piattaforme di collaborazione e le politiche di gestione giusti, le persone sentono di potersi impegnare, sono produttive e in alcuni casi si sentono ancora più responsabilizzate.

Anche il reclutamento di talenti, di fronte a condizioni di mercato molto difficili, può cogliere anche delle opportunità. In Italia, il 60% dei decision maker afferma che il reclutamento di talenti di alto livello è stato reso più facile, in particolare per i genitori che lavorano (87%) e per le minoranze (64%). Forse vedremo le organizzazioni riflettere meglio le società che servono in termini di diversità e inclusione, dove il talento non si limita al solo posizionamento geografico. Incredibilmente, l’85% concorda anche sul fatto che l’innovazione – tradizionalmente associata al brainstorming e all’ideazione di gruppo – può, rispetto al passato, originarsi e prendere vita da più “luoghi” all’interno dell’organizzazione.

Sulla base di questo, la terza considerazione consiste nel ripensare alle nozioni esistenti di lavoro da remoto. Il cambiamento globale a cui abbiamo assistito ovvero l’allontanamento dall’ufficio come ambiente operativo fisso e permanente rende a ben vedere improprio il termine “lavoro da remoto”. Per molti non ci sarà più – o già non c’è – un luogo fisico centrale che lega l’azienda e dal quale i dipendenti possono anche essere “remoti”. Oggi sta diventando chiaro che i dipendenti non sono più definiti da un unico luogo. Un modello puramente centralizzato è già obsoleto. Che sia da casa, in ufficio, in movimento, o una soluzione ibrida fra tutte e tre, la forza lavoro moderna non deve più essere vista come “remota”, ma “distribuita”.

Un approccio distribuito

Coloro che abbracciano le esigenze della forza lavoro distribuita sanno bene quindi che un’azienda non si limita alle sole mura di un ufficio. In altre parole, ora più che mai è importante capire che un’azienda non è unicamente un’entità materiale, ma un insieme costruito su output, sul duro lavoro e sul benessere e la felicità degli individui che lo compongono.

L’elemento umano del lavoro è finalmente arrivato alla ribalta anche nelle operazioni di business. Abbiamo visto i nostri CEO nei loro salotti, i familiari dei nostri colleghi negli sfondi delle nostre videocall. Ora è giunto il momento di rivalutare le ipotesi relative all’impatto operativo e personale dell’adozione di una struttura di lavoro decentrata.

Cosa ci riserva il futuro?

Eccoci qui, dunque. Le sfide del 2020 hanno costretto le aziende ad adattarsi rapidamente a nuove modalità in cui il lavoro non equivale più all’ufficio. Il futuro del lavoro non è più una semplice previsione. È arrivato sotto forma di una forza lavoro distribuita, portando con sé benefici tangibili per l’azienda, dalla produttività al morale dei dipendenti, fino a una maggiore collaborazione e a migliori opportunità di assunzione.

Le aziende devono ora essere in grado di infondere la giusta cultura e il giusto approccio di leadership per promuovere e sviluppare questa nuova modalità di lavoro. Questo, insieme a fondamenta digitali che garantiscano ai dipendenti le giuste applicazioni su qualsiasi dispositivo e in totale sicurezza, significa realmente andare oltre l’ondata di previsioni sul “futuro del lavoro” 2.0, assicurando concretamente che le aziende e i singoli individui siano veramente pronti per il futuro.

A cura di Raffaele Gigantino, Country Manager VMware Italia