Secondo lo State of Privacy di Symantec il 57% degli europei pensa che i propri dati personali non siano al sicuro. Leggermente più tranquilli gli italiani

I dati sono diventati ormai elementi imprescindibili verso cui le aziende puntano per fare la differenza e ottenure un vantaggio competitivo rispetto ai concorrenti. Big data e Analytics risultano quindi essere i nuovi driver per realizzare strategie “su misura”, strategie a dimensione d’utente. Certamente le implicazioni in termini di servizio offerto ai consumatori sono molto interessanti, tanto che la privacy è considerata, o meglio era considerata un elemento sacrificabile.

Oggi invece, almeno in teoria, non è più così. Questo perché, come si vede sempre di più su quotidiani e telegiornali, i problemi legati alla perdita, al furto e alla custodia delle informazioni stanno rendendo più sensibili gli utenti. A rivelarlo è lo State of Privacy 2015 recentemente pubblicato da Symantec e realizzato con l’obiettivo di valutare la percezione dei cittadini riguardo la sicurezza dei propri dati: dall’analisi condotta in 7 Paesi europei tra cui l’Italia, è emerso come la data security sia ritenuta molto importante dall’88% dei consumatori intervistati. La ragione deriva dal fatto che il 57% degli europei (maggiormente donne che uomini, 53% contro 51%) pensa che i propri dati personali non siano al sicuro. Questa percentuale si abbassa però al 51% tra i soli nostri connazionali che si sentono evidentemente più tranquilli. Tutto questo è confermato dal fatto che circa la metà degli italiani (46% contro il 14% degli europei) è favorevole a condividere i propri dati con terze parti. Il 34% non è del tutto contrario alla condivisione a seconda dalle informazioni da dover consegnare.

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Non sembra quindi un caso che gli italiani dimostrano un diverso livello di fiducia a seconda delle organizzazioni alle quali il dato viene fornito: con il 63%, gli ospedali e i servizi medicali sono considerati i più sicuri, seguiti da banche (59%) e dagli enti governativi (45%). Bassa fiducia è invece attribuita ai social network (17%). Inoltre solo il 20% delle persone si fida della capacità dei venditori online di proteggere i dati dei consumatori, tanto che una persona su tre fornisce dati falsi per proteggere la propria privacy online.

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Vorrei proteggerli ma non so come fare

Coloro che si dimostrano preoccupati riguardo alla protezione dei dati appaiono incapaci di proteggerli non sapendo come comportarsi. In Italia questo pensiero è condiviso da 3 persone su 5 (63%), rispetto al 66% in Europa. La polizia viene considerata dal 56% degli intervistati del nostro Paese come l’ente in grado di risolvere i problemi legati alla protezione dei dati, seguiti dalle compagnie che operano su Internet (48%), dalle banche (48%) e per ultimi dai social media (28%).

Per quanto riguarda invece la responsabilità di proteggere le informazioni sul web, gli italiani credono che spetti soprattutto al governo (44%) operare affinchè sia garantita la sicurezza. Il 33% crede che questo compito spetti alle imprese, mentre un solo 23% si considera direttamente responsabile.

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Un elemento interessante emerso dallo studio riguarda il valore attribuito dagli intervistati ai dati. Secondo il 94% degli italiani – rispetto all’81% degli europei – le informazioni hanno un valore economico, quantificabile sopra i 1.000 euro dal 45% (il 34% attribuiscono addirittura una cifra superiore ai 10 mila euro) e inferiore ai mille al 55%. Soltanto il 6% non conferisce alle informazioni un valore economico.
Presa coscienza di questa “spendibilità”, oltre un terzo dei consumatori italiani vuole vendere il proprio indirizzo email in cambio di denaro e un quarto di essi per un buono sconto presso un negozio.

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 State of Privacy ITALY