La banda larga in Italia non decolla. Secondo uno studio Agcom, solo il 36% delle famiglie ha accesso a connessioni a 30 Mega contro il 68% della media UE

Fibra-ottica

La banda larga in Italia ancora non decolla. O meglio, cresce, ma su ritmi decisamente troppo lenti rispetto agli standard europei. È sufficiente utilizzare i servizi di comparazione tra le ADSL del mercato italiano di supermoney.eu per constatare come solo poche società e solo in determinati contesti territoriali siano in grado di offrire una linea internet ultraveloce e come la crescita dell’informatizzazione della popolazione non sia accompagnata da un pari adeguamento delle infrastrutture di rete messe a disposizione. L’Italia è zavorrata da un digital divide significativo che ci pone a netta distanza dalle altre realtà più vicine al nostro contesto geo-economico.

La banda larga in Italia è indietro: lo studio di Agcom

Nel corso della relazione annuale presentata al Parlamento italiano lo scorso 7 luglio, Agcom ha fatto il punto sullo stato di salute della banda larga in Italia e, in generale, sul mercato ICT e dell’informazione. La relazione, presentata dal Presidente dell’Autorità Angelo Cardani, ha messo in luce un divario preoccupante tra le infrastrutture di rete poste in essere nel Belpaese e quelle del resto d’Europa.

In particolare, la banda larga in Italia con una connessione pari o superiore a 30 Mega è accessibile solo al 36% della popolazione, controil 68% della media UE. Oltretutto, appena il 4% degli utenti la utilizzano, mentre la media europea è del 26%. La banda ultralarga a 100 Mbps  nel nostro Paese è pressoché inesistente, mentre nel resto d’Europa raggiunge già il 9% della cittadinanza.

L’informazione migra sull’online

Le difficoltà relative alla banda larga in Italia contraddicono un’altra evidenza messa in luce dalla relazione dell’Agcom: l’informazione viaggia sempre più sui binari del web, i media tradizionali – Tv, radio e soprattutto giornali – negli ultimi 12 mesi hanno registrato una perdita del fatturato pari a circa 2 miliardi di euro, mentre la digital communication cresce su volumi imponenti.

È soprattutto la carta stampata ad arrancare, basti pensare che nel quinquennio 2010-2014, il comparto ha accusato una perdita dei volumi di traffico e fatturato pari al 30%, contro il -16% complessivo segnato dal settore dei media tradizionali. La tv, invece, si dimostra ancora il canale principale di informazione e intrattenimento, sebbene, come ha sottolineato Cardani, “in questo settore è necessario un radicale ripensamento del disegno istituzionale e regolamentare”. L’occasione di “ripensamento” del ruolo della tv in seno ai nuovi equilibri mediatici giungerà a metà 2016, quando scadranno le concessioni RAI e, secondo l’autorità, sarebbe opportuna “una riforma del canone nel segno di semplificazione, perequazione sociale e effettività della riscossione”.