PlanetWatch nasce per monitorare la qualità dell’aria in ottica partecipativa e sfruttando le più moderne tecnologie, come l’IoT, l’AI e la blockchain. Il suo CEO Claudio Parrinello ci spiega tutti i segreti del progetto

PlanetWatch
Claudio Parrinello, CEO di PlanetWatch

Il problema della qualità dell’aria esiste già da tempo ma ora le luci sulla questione sembrano essersi riaccese a seguito del dilagare della pandemia Covid tanto che la startup PlanetWatch, nata appena lo scorso anno ma con progetti già ambiziosi in cantiere, ha deciso di farne la sua vocazione. PlanetWatch promuove infatti la creazione di Smart Cities on Demand dove sono i cittadini a giocare un ruolo da protagonista, in un’ottica pienamente partecipativa e collaborativa.

Il progetto di PlanetWatch si basa sulla creazione di una infrastruttura tecnologica molto densa costituita da sensori distribuiti nelle abitazioni dei cittadini che decidono di partecipare, che inviano i dati relativi alla qualità dell’aria monitorata in cambio di token spendibili ad esempio per prodotti per la propria casa come purificatori d’aria, dando vita a un archivio aggiornato in tempo reale e permettendo di intervenire laddove ce ne sia bisogno.

Abbiamo parlato di tutto questo con Claudio Parrinello, CEO di PlanetWatch, che per farci capire la gravità del problema, spesso sottovalutato, ha citato alcuni dati ufficiali abbastanza impressionanti: “L’OMS ci dice che ogni anno in media 7 milioni di persone muoiono prematuramente a causa dell’esposizione all’aria inquinata ed è del 93% la percentuale di bambini del mondo che respirano aria di qualità insufficiente”.

Perché il problema della qualità dell’aria esiste a livello globale ed una questione davvero seria?

“Storicamente il problema della qualità dell’aria, sia all’interno che all’esterno degli edifici, è sempre esistito ma dallo scorso anno con la pandemia di Covid-19 si sono aggiunti nuovi motivi per fare ancora più attenzione. L’Università di Harvard ha infatti mostrato una correlazione tra l’esposizione a lungo termine all’aria inquinata e una mortalità maggiore nelle persone ammalate di Covid. Una teoria che potrebbe forse spiegare anche perché l’epidemia è stata particolarmente virulenta nelle zone della Pianura Padana, tra le più inquinate a livello europeo. Se esaminiamo il problema della qualità dell’aria nei luoghi chiusi, dove si può avere una concentrazione di inquinanti addirittura maggiore che nei luoghi aperti, possono essere molti gli effetti deleteri sulla salute e in particolare è possibile che le goccioline più fini che emettiamo come esseri viventi, il così detto aerosol, permangano nell’aria di una stanza non ben ventilata a lungo, contribuendo a diffondere il contagio da covid. Misurando una serie di parametri ambientali e di qualità dell’aria nei luoghi chiusi si può addirittura arrivare a stimare il rischio di contagio nel caso ci fossero persone infette”.

E’ aumentata la sensibilità della gente verso queste problematiche?

“La pandemia è stata una brusca sveglia per tutti noi, mostrandoci quanto siamo vulnerabili. Da qualche anno, soprattutto tra i giovani, si è risvegliato il tema dell’attenzione verso l’ambiente e il tema del riscaldamento globale ma sui rischi a breve termine per la salute legati alla qualità dell’aria c’era meno consapevolezza”.

In questo contesto nel 2020 è nata PlanetWatch: di cosa vi occupate?

“PlanetWatch nasce dalla mia esperienza come uomo di scienza e in particolare dalla mia esperienza professionale al CERN di Ginevra, dove sono stato per sei anni in posizioni manageriali e dove sono stato affascinato dal concetto della Citizen Science, cioè l’idea che progetti di grande valore scientifico possano beneficiare dei contributi delle persone normali, che non hanno una formazione scientifica. Nel tempo poi, ho iniziato ad interessarmi alle problematiche legate all’ambiente e alla tecnologia. Questo mi ha permesso di notare come sia le tecnologie avanzate come la blockchain sia la partecipazione delle persone potevano portare alla problematica ambientale un grande valore”.

Perché nel mondo della qualità dell’aria ha senso un progetto con la partecipazione dei cittadini?

“La qualità dell’aria è un parametro molto difficile da misurare e tenere sotto controllo perché possono esserci variazioni molto grandi anche su piccole distanze. Rilevare i punti critici di inquinamento è possibile solo avendo un sensore che misura la qualità dell’aria vicino al punto critico stesso così da rilevare il picco di inquinamento in maniera rapida e tempestiva per poi mitigarlo con azioni concrete. Per fare questo però bisognerebbe avere una rete di centinaia di sensori in città e sistemi avanzati per l’analisi dei dati.

PlanetWatch è nata per trovare una metodologia rapida, poco costosa ed efficiente, per dispiegare e gestire reti molto dense di sensori nelle città: protagonisti sono i sensori IoT, quindi autonomamente in grado di rilevare e inviare i dati via internet a una piattaforma, installabili con semplicità. L’idea è quella di creare partnership direttamente coi cittadini ai quali proponiamo di installare un sensore in casa (in terrazzo o giardino) abilitandolo ad inviare dati sulla nostra piattaforma. Dati che PlanetWatch verifica, analizza e aggrega per monitorare la situazione. Per spingere le persone a partecipare abbiamo messo a punto uno schema basato su token, una specie di punti fedeltà: a tutti coloro che decidono di inviare e condividere i dati rilevati dal proprio sensore vengono accreditati dei punti che possono essere spesi poi in prodotti o servizi come purificatori d’aria per la propria casa”.

Dal punto di vista tecnologico su cosa si basa la soluzione di PlanetWatch?

“Alla base della nostra vision c’è la blockchain, una tecnologia che permette di registrare i dati e fare transazioni all’interno di un ecosistema in modo sicuro ed efficiente, consentendo anche di tracciare i contributi in modo preciso e di creare dei token distribuiti come incentivo.

La blockchain ci consente di creare un registro perenne globale a prova di contraffazione dei dati di qualità dell’aria e non modificabili. Altre tecnologie innovative a cui facciamo ricorso sono l’IoT con i sensori intelligenti e poi per l’analisi dei dati ci serviamo di intelligenza artificiale: la sfida tecnologica è quella di avere dei flussi di dati che arrivano in tempo reale da migliaia di sensori sparsi in tutto il mondo e di validarli, aggregarli ed utilizzarli per estrarre delle informazioni fruibili”.

In concreto cosa vede il cittadino che decide di partecipare al progetto PlanetWatch?

“Il nostro sito web incorpora una mappa per l’utente finale che permette di vedere una città suddivisa in pixel colorati in corrispondenza alle zone dove sono presenti i sensori. Ciascun colore è legato alla qualità dell’aria nel momento preciso e se si clicca sul pixel è possibile avere lo storico di quella zona. Ci sono poi analisi più raffinate dei dati aggregati che possono essere messe a disposizione degli attori istituzionali, come i Comuni, per identificare picchi specifici di inquinamento, come ad esempio una strada o una parte di essa e mettere poi in atto azioni per ridurre i picchi. A volte basta veramente poco per migliorare di molto una situazione”.

A proposito di dati una delle tematiche più delicata è quella legata alla privacy e alla integrità del dato che viene raccolto e analizzato. Da questo punto di vista che tipo di garanzie adotta PlanetWatch?

“Siamo GDPR compliant e non è possibile nel nostro sistema risalire al domicilio di chi invia i dati tramite i sensori: ciascun pixel fa riferimento a dati aggregati.

Il fatto di avere tanti sensori consente poi di fare anche dei ‘cross checks’ all’interno del sistema stesso: se qualcuno volesse divertirsi con uno scherzo e mettere un sensore in un cassonetto, ad esempio, ce ne accorgeremo grazie al confronto con gli altri sensori nei paraggi. PlanetWatch adotta strategie di controllo dell’integrità del dato che usano quindi anche dinamiche collettive. Abbiamo poi un altro progetto interno per raggiungere più elevati livelli di sicurezza tramite nuovi tipi di sensori ma siamo ancora in itinere”.

PlanetWatch propone una soluzione specifica per gli Hotel, che è nata proprio per rispondere alle esigenze precise di questo momento storico: come funziona e che potenzialità può avere in un Paese a vocazione turistica come il nostro?

“L’idea è nata e si è sviluppata a partire dalla richiesta di un Hotel di Torino che ha capito che il monitoraggio e il controllo della qualità dell’aria all’interno può oggi rappresentare un vantaggio competitivo molto importante. Ecco allora che insieme ai nostri partner abbiamo costruito una soluzione, chiavi in mano, che in prima battuta si propone di abbattere il livello di inquinanti e agenti patogeni dell’aria tramite tecnologia di sanificazione per passare poi a monitorare l’effettivo beneficio avuto con questa operazione. L’obiettivo finale è quello di ottenere una certificazione internazionale della qualità dell’aria, la RESET, recentemente introdotta in Cina per certificare che l’aria della struttura sia pulita e sicura. Stiamo lavorando con questo hotel perché sia il primo in Italia ad ottenere questa certificazione, il secondo al mondo”.

Come si sta muovendo PlanetWatch in concreto?

“PlanetWatch è un progetto molto giovane che sfrutta idee e tecnologie innovative. Per quanto riguarda il monitoraggio indoor, ci arrivano richieste dal mondo dei ristoranti, dai centri commerciali, dagli attori del trasporto pubblico e dalle scuole”.

Le vostre reti invece come stanno crescendo?

“Al momento abbiamo una rete a Milano, stiamo per partire a Roma, abbiamo fatto dei test a Taranto e stiamo partendo in modo massiccio anche a Londra e negli Stati Uniti.

Il nostro è un modello di business molto scalabile, operiamo in maniera molto snella e globalmente abbiamo circa 600 sensori collegati al nostro network (oltre 200 solo negli Stati Uniti) e nel giro di qualche settimana arriveremo a toccare quota mille”.

E invece per il futuro come prevedete che evolverà il progetto?

“L’obiettivo di PlanetWatch è quello di avere sensori per il monitoraggio dell’aria in tutte le città del mondo dove c’è un problema di inquinamento, quindi in pratica in tutte le città importanti. Sembra un traguardo molto ambizioso ma perfettamente raggiungibile. Tutto quello che serve, è una community locale interessata ad ospitare i sensori, e tutto il resto è software: quindi il progetto può partire in maniera rapida ovunque.

Sottolineo anche che il modello che abbiamo lanciato potrà poi essere utilizzato per monitorare anche altri tipi di parametri ambientali, come l’inquinamento acustico”.