La sfida: cambiamenti organizzativi e un nuovo modo di concepire il lavoro

Ieri, al Palazzo delle Stelline di Milano, Doxa ha presentato i risultati dell’indagine su Smart Working, Welfare Aziendale e Change Management, nell’ambito dell’evento Smart & Well organizzato in collaborazione con la società di formazione Trivioquadrivio e lo studio legale Littler.

L’indagine, realizzata allo scopo di “fotografare” lo stato dell’arte in Italia su Smart Working, Welfare Aziendale e Change Management, ha rilevato che 9 aziende su 10 prevedono iniziative a favore del benessere dei propri dipendenti.

A dirlo non sono le aziende, ma i dipendenti stessi. Per l’esattezza i cosiddetti “colletti bianchi”, ossia impiegati, quadri e dirigenti, che citano strutture e facilities presenti in azienda (bar, cucina/mensa, aree relax/svago, asilo nido, biblioteca/sala lettura e persino palestra); iniziative extra lavorative ad hoc (eventi culturali/seminari, gite/viaggi aziendali, corsi di ginnastica/yoga e per il tempo libero); assistenza ai familiari (baby-sitting, assistenza disabili e anziani) e, infine, servizi per i figli.

“È evidente che qualcosa sta cambiando” interviene Massimo Sumberesi, BU Director Doxa e responsabile della ricerca Smart & Well. “Per un numero crescente di aziende il well-being dei propri dipendenti è diventato una priorità, non solo perché è cosa buona e giusta, ma perché ne derivano ricadute tangibili per lo sviluppo del business.”

La flessibilità, intesa come possibilità ed opportunità di lavorare per obiettivi anche da casa e magari di rinunciare alla postazione fissa optando di volta in volta per la prima scrivania libera che si trova in ufficio, desta entusiasmi ma anche qualche preoccupazione. C’è ancora chi teme che possa creare disparità o inefficienze (“chi produce poco, a casa farebbe ancora meno”). Per quel che concerne il lavoro da remoto, per quanto concreti e facili da prefigurare risultino i vantaggi, non si possono trascurare le paure segnalate da alcuni: “non riuscirei mai a staccare completamente dal lavoro”, “potrei perdere delle opportunità”; “farei fatica a lavorare in presenza dei miei familiari”, e così via.

“Il lavoro agile oggi come oggi suscita ancora una certa ambivalenza tra i dipendenti delle aziende”, riprende Massimo Sumberesi di Doxa. E avverte: “I cambiamenti organizzativi hanno successo e vengono accolti con maggiore favore se a crederci sono prima di tutto i manager e i capi azienda”.

Anche se la strada è ancora lunga, si intravvedono già i segnali di un’evoluzione negli atteggiamenti dei lavoratori italiani. A dirlo sono proprio i dati Doxa. L’indagine Smart & Well ha permesso di individuare 4 cluster attitudinali rispetto a flessibilità, lavoro agile e smart office: sebbene ci sia ancora una quota consistente didubbiosi (47%) – a cui si aggiungono i resistential cambiamento tout court (13%) – sono già molto numerosi i white collar che sposano le nuove forme organizzative e un diverso modo di lavorare, suddivisi quasi equamente tra favorevoli (21%) e convinti (19%).

Segnali accolti con favore anche da Carlo Majer ed Edgardo Ratti, managing partner della sede italiana di Littler, studio legale nato nella Silicon Valley: “La ricerca realizzata da Doxa in collaborazione con Trivioquadrivio e il confronto vivace e intelligente avuto durante l’evento di ieri ci rendono ancora più consapevoli della necessità di accompagnare il mondo del lavoro alla nuova frontiera che lo aspetta. Dobbiamo operare al fianco degli HR manager, mettendo a disposizione strumenti che aiutino a sostenere la curva dell’innovazione delle aziende”

Ma welfare e flessibilità a parte, qual è l’attuale condizione dei lavoratori italiani in termini di trasferimenti casa-lavoro, orari e tempi di lavoro, postazioni, dotazione tecnologica e organizzazione stessa del lavoro? La fotografia scattata con l’indagine Smart & Well targata Doxa mostra luci e ombre. Si scopre così per esempio che ci mettiamo in media 52 minuti per andare e tornare dall’ufficio e che per i spostamenti nell’81% dei casi utilizziamo mezzi privati. Ancora, solo il 13% del campione lavora part time e tra chi lavora a tempo pieno quasi il 40% si ferma regolarmente in ufficio ben oltre le canoniche 8 ore. Per 1 intervistato su 3 portarsi del lavoro a casa non è affatto un tabù.

Il 55% dei colletti bianchi lavora in open space (ma c’è chi rimpiange la privacy della stanza singola o condivisa). E, nonostante questo, si tende a lavorare poco in team: il 54% dichiara di svolgere le proprie mansioni prettamente da solo. Si condividono gli spazi, dunque, ma a quanto pare non basta per incentivare la collaborazione.

Scorrendo le risposte, quelle che emergono più frequentemente sono da un lato parole negative, “burocrazia” (35%), “confusione” (26%), “controllo” (25%), “rigidità” (17%); dall’altro significati positivi come “responsabilità” (35%), “flessibilità” (20%), “autonomia” (20%) e “fiducia” (19%).