Prospettive positive anche per il 2018. Si deve però ridurre il gap con l’Europa

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Il digitale è sempre più determinante in Italia. A confermalo è l’Assintel Report secondo cui il mercato dell’Information Technologies è cresciuto del 3,1% nel 2017 (22,7 miliardo di euro) e questo, insieme al mondo delle telecomunicazioni, genera un giro d’affari complessivo da 30 miliardi di euro.
Scomponendo il mercato ICT italiano nelle sue diverse componenti si evidenza, a fronte della riduzione dei servizi TLC (-1,6%), una crescita del mondo dell’hardware (+6,2%), del software (+3%) e dei servizi IT (+1,5%).

Il report evidenza inoltre un allargamento della forbice tra nuova e vecchia IT – ha spiegato Fabio Rizzotto, Senior Research and Consulting Director di IDC. – l’effetto espansivo delle tecnologia della Terza Piattaforma e degli Acceleratori  dell’Innovazione compensa la contrazione dei o prodotti e servizi ICT tradizionali o non riconducibili ai nuovi driver di business. I primi in Italia crescono complessivamente del 16,4% per un totale di oltre 14 miliardi di euro: IoT +16,4%, Cognitive Computing +20,5%, Cloud +27,8%, Big Data e Analytics +20,9%, Realtà Aumentata e Virtuale +335,6% e Wearable +155,7%”.

Il mercato ICT nel 2018-2020

Positive le prospettive anche per il 2018: il mercato IT che toccherà i 23,15 miliardi di euro,  crescerà dell’1,9%. Questo grazie ad un rafforzamento dell’hardware (+1.6%), del software (+3,5%) e dei servizi IT (+1,3%). Sempre in calo i servizi tlc (-0,8%) che porteranno il settore ICT ad assumere un valore di 30,54 miliardi di euro (+1,3%).

Il trend di crescita continuerà, secondo le stime, almeno fino al 2020 con un CAGR tra l’1,6 e il 2%.

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Analizzando il mercato ICT da un punto di vista territoriale invece, nel 2018 è il Nord Ovest a guidare gli investimenti in Italia (10,6 miliardi), seguito dal Centro (8,2 miliardi), dal Nord Est (6,6 miliardi) e infine il Sud e le isole (5 miliardi). I settori nei quali si investe maggiormente sono: industria (23%), finanza (20%), distribuzione (13%), PA (14%), trasporti & communication utilities (13%) e servizi (17%).

Italia: gap con l’Europa

Purtroppo però, se confrontiamo il livello di digitalizzazione italiana con il resto dell’Europa, la situazione risulta abbastanza critica: secondo l’indice Desi, che analizza diversi aspetti della digitalizzazione di una Nazione, l’Italia è quart’ultima: peggio solo la Bulgaria, la Romania e la Grecia.

“Non ci sono più scuse: le difficoltà della crisi si sono sensibilmente ridotte rispetto che in passato e l’economia è ripartita. Bisogna salire quindi sul treno dell’innovazione e lo si deve fare oggi, non domani. Il treno rischia di passare e l’Italia non può rimanere a guardare. È giunto il momento di passare all’azione” ha spiegato Giorgio Rapari, Presidente di Assintel.

Ma per farlo le aziende devono entrare nell’era della consapevolezza. Essere consapevoli che senza il digitale si rischia di rimanere tagliati fuori dal mercato e fallire. Basti pensare a Blockbuster o Kodak: la prima, quando ne aveva la possibilità, ha rifiutato di acquistare Netflix (che si era offerta) per una cifra molto abbordabile, mentre la seconda, nonostante fosse stata la prima realtà a realizzare una fotocamera digitale, ha deciso di abbandonare il progetto perché spaventata di non poter più vendere i rullini. È nota la fine che hanno fatto i due ex colossi.

Le imprese sono quindi chiamate ad avviare processi di digital transformation se vogliono raggiungere l’efficienza, la flessibilità e la velocità necessaria per poter competere in un mercato imprevedibile come quello di oggi, dove i competitor spesso non sono più realtà dello stesso settore, ma nuove organizzazioni completamente digitali che hanno fatto dello studio dei dati la loro forza.

A fronte di prospettive di fatturato in crescita nel 2018 e dalla volontà delle imprese di migliorare la soddisfazione/fidelizzazione dei clienti (61%), oltre che ridurre i costi (28%) e aumentare la produttività dei dipendenti (27%), la digital transformation è considerato come lo strumento per riuscire a rendere digitale il modello di business (35%), orchestrare l’universalità dei canali digitali verso il mercato (22%) e per sfruttare i dati così da ottenere un vantaggio competitivo (38%).

Ma quanto si sentono digitali le pmi?

Secondo una ricerca IDC effettuata su un panel di giovani piccole e medie imprese italiane, il 59% si ritiene abbastanza tecnologica, il 18% molto tecnologica, il 17% poco e il 4,5% per niente. Valori questi che si discostano fortemente da quanto emerso dall’indice Desi e che non possono che confermare la mancanza di consapevolezza delle imprese italiane. Tutto ciò è stato rafforzato dalle risposte date dalle pmi riguardanti la conoscenza o meno di determinate tecnologie: il 47,9% non conosce la blockchain, il 47,4% i modelli di business del tipo “factory as a service”, il 26,8% l’Internet of Things, il 41,8% l’utilizzo dei big data e il 29% lo sviluppo di soluzioni cloud.

C’è quindi ancora molto da fare quindi. Esistono infatti una serie di fattori che limitano la digital transformation delle imprese italiane. La mancanza di risorse e di una cultura volta al cambiamento continuo (rispettivamente al 45% e al 44%) sono le cause maggiormente limitanti, seguite dalla ridotta capacità di definire nuovi modelli di business (22%), la presenza di una scarsa propensione al rischio del Top management (21%) e allo sviluppo di nuove competenze (12%).