Uno studio commissionato da Welfare Company ha rivelato che il 71% delle aziende coinvolte ha introdotto piani di welfare

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“Il futuro del welfare aziendale dopo la Legge di Stabilità 2016” è una ricerca presentata da Welfare Company, società di QUI! Group specializzata in soluzioni di welfare aziendale e pubblico, e condotta dal professor Luca Pesenti, docente di Organizzazioni Sociali e Welfare Plurale dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, su un campione di HR manager fornito da AIDP, Associazione italiana Direzione Personale.

La ricerca commissionata da Welfare Company, ha raccolto le interviste di 335 direttori e manager del settore HR provenienti da aziende di tutta Italia (con distribuzione di 48% Nord Ovest, 24% Nord Est, 22% Centro, 5% Sud, 1% Isole) e ha rivelato che il 71% delle aziende coinvolte ha introdotto piani di welfare.

A fronte delle nuove opportunità previste dalla Legge di Stabilità 2016, il 33,2% dichiara che sta già lavorando alla creazione di un Piano, 4 aziende su 10 tra quelle già munite di un piano hanno dichiarato che stanno organizzando un ampliamento dei servizi al dipendente. Soltanto l’8,2% si dice non interessato.

In media, le aziende propongono ai propri dipendenti circa 5 benefit. Tra i servizi più diffusi, se si escludono mense e buoni pasto e orari flessibili (storicamente i più diffusi), le cinque categorie di benefit più presenti sono: assistenza sanitaria (42,5); convenzioni e agevolazioni al consumo (35,2%), permessi di paternità (25%), benefit per lo studio dei figli (23,2%) e smart working (22,9%).

Per gli HR manager intervistati, il welfare ha effetti positivi sul clima aziendale e riduzione della conflittualità (utile per il 62% degli intervistati), attrae i talenti (per il 52% degli intervistati), riduce il turnover (47,7%) e l’assenteismo (39%).

Soltanto il 31% ritiene il welfare aziendale utile per il sostegno dell’occupazione femminileQuesto perché oggi sono ancora poco diffusi gli strumenti di conciliazione vita-lavoro, invece fondamentali in un piano di welfare che mira a trattenere i talenti” commenta Chiara Fogliani, consigliere delegato di Welfare Company in cui le quote femminili hanno superato il 70%. La ricerca rivela inoltre che 7 aziende su 10 non introducono piani di welfare perché temono sia oneroso dal punto di vista economico/gestionale. Ma è un mito da sfatare: grazie agli sgravi fiscali, 1000 euro che un’azienda eroga sotto forma di servizi di welfare invece che in prestazione in contanti comportano un risparmio di 350 euro per l’azienda e 180 euro in più in busta paga per il dipendente, che ottiene un beneficio ‘netto’“.

“La ricerca conferma che le aziende concepiscono sempre più il welfare come leva per attrarre i talenti. Il welfare non è più considerato soltanto un elemento di responsabilità sociale, ma diventa parte integrante delle policy del management delle risorse umane”, commenta Luca Pesenti,. Notiamo che quasi 6 aziende su 10 sono oggi intenzionate a intervenire concretamente sul fronte della conciliazione famiglia-lavoro, un tema molto discusso ma finora di fatto trascurato nei piani di welfare aziendale e dal welfare pubblico. Si va sempre più verso un welfare integrato. Punto critico, ad oggi, resta l’analisi dei bisogni: viene fatta solo in un caso su quattro e per altro solo un terzo di chi la fa coinvolge il sindacato. Troppo poco: analizzare i bisogni è decisivo per una buona riuscita del Piano di welfare”.

La norma certo consente alle aziende di guardare con maggiore benevolenza all’adozione di piani di welfare aziendale. Il welfare aziendale rappresenta uno strumento di fidelizzazione e attenzione alle esigenze del lavoratore. Un ottimo strumento per la creazione di quel patto fiduciario per cui il lavoratore darà quel valore aggiunto che serve all’azienda per stare sui mercati e per vincere le sfide internazionali. L’allargamento dell’interesse e dell’adozione del welfare aziendale, come rivela la ricerca, o esperienze come il Welfare Day di Fincantieri o l’Osservatorio Confindustria Cuneo con Cgil-CISL-UIL, per la famiglia professionale che rappresento, vogliono dire molto. Testimoniano e confermano che stiamo passando dalla contrattazione alla negoziazione.” Conclude Isabella Covili Faggioli, Presidente AIDP.