L’Italia deve sapere valorizzare le proprie eccellenze virando verso il digitale, e deve fare in fretta. A dirlo è il noto economista Jeremy Rifkin

L’economia è come la natura: si basa su relazioni, sistemi. E dunque cambiare le cose si può. La risposta ai cambiamenti climatici, all’ecosistema in difficoltà, alla distribuzione della ricchezza a dir poco squilibrata, a una crisi economica che non ha dato tregua per anni, è la sharing economy, l’economia a costo marginale zero. È un’economia basata sull’internet delle cose, l’unica soluzione che può, in breve tempo, salvare una specie, quella umana, che altrimenti potrebbe non vedere la fine del secolo.

A dirlo è Jeremy Rifkin, visionario economista americano secondo cui l’Italia debba al più presto abbracciare questa nuova, terza rivoluzione industriale basata sulla digitalizzazione. “Il vostro paese vanta eccellenze di ogni tipo: perché allora la Germania produce autonomamente il 32% della propria energia, e voi no?”.
Sono le PA che possono e devono iniziare a perseguire questo obiettivo, mettendo in pratica ciò che a livello legislativo si sta già verificando, ma che spesso non è seguito dai fatti e, soprattutto, dall’appoggio quotidiano dei lavoratori che costituiscono il vero motore della PA.

Ci sono però delle problematiche: all’interno degli uffici della PA ci sono molti malumori e difficoltà, dovuti prima di tutto al blocco dei contratti che va avanti ormai da quasi otto anni, al fatto che si guarda solo ai furbetti del cartellino e non alla grande maggioranza che tutti i giorni lavora negli uffici, e che gli stipendi sono più bassi che nel resto dei grandi Paesi europei (costano, per esempio, 75 miliardi in meno che nel Regno Unito). Le riforme di questo governo sono molto ambiziose in tutti i campi, ma quello che serve è un accompagnamento costante delle riforme, che non si possono fare senza i lavoratori della PA e senza la partnership con le imprese. Altrimenti sono destinate a fallire, fermandosi al momento dell’execution.”

Il cambiamento necessita di un nuovo modello di business che parta da architettura, energia rinnovabile e mobilità, se è vero che le prime tre cause di global warming sono, in ordine, edifici non ecosostenibili, allevamento intensivo e trasporti. Prendendo spunto dai Millennials, i nativi digitali, per cui questo cambiamento è perfettamente naturale. Se infatti l’età media nella nostra PA è di cinquantenni, servirebbero più giovani tra i 18 e i 32 anni per un “reverse mentoring”, che vede i giovani insegnare ai più anziani che, in cambio, offrono loro saggezza ed esperienza.

I soldi per gli interventi ci sono, ma la PA, con le regioni in prima linea, devono scegliere di investirli in questo modo e non, come è avvenuto finora, nella ristrutturazione di infrastrutture obsolete troppo legate alla seconda rivoluzione industriale (si pensi che oltre 740 miliardi sono andati dall’UE per ristrutturare infrastrutture nel solo 2012, anno di recessione). Sull’onda di Germania, Francia e Cina, la sharing economy porterà vantaggi in brevissimo tempo, dimezzando man mano i propri costi (fino a raggiungere lo zero) e raddoppiando invece la propria efficienza. Così, nel giro di tre generazioni le auto saranno ridotte dell’80%, grazie al car sharing; e saranno quasi tutte elettriche, stampate in 3D, in grado di guidarsi da sole. I vantaggi di internet, del suo sapere connettere il mondo in pochi click, è la chiave per il futuro, che già i Millennials padroneggiano, ma che anche le PA devono sapere sfruttare. Ricordando che “Sole e vento non mandano bollette”, come sorride Rifkin.

È il modello di business italiano, secondo Rifkin, a non funzionare. L’Italia deve sapere valorizzare le proprie eccellenze virando verso il digitale, e deve fare in fretta, cambiando le proprie priorità: i mezzi per farlo ci sono già tutti.

A rispondere alle questioni presentate dalla lectio magistralis dell’economista è Nicola Zingaretti, governatore del Lazio. “Per realizzare tutto questo serve una nuova PA con al centro la valorizzazione del capitale umano che vi lavora. Il problema non è “se” condividiamo l’orizzonte presentato da Jeremy Rifkin, ma “come” realizzarlo unendo i tempi dell’analisi e delle riforme a quelli dell’innovazione, realizzando il cambiamento il più velocemente possibile. Questo è il momento giusto per fare, per rilanciare lo Stato. Che dovrà basarsi su digitale, concentrandosi sulla sanità in primis; su sostenibilità, partendo dall’efficientamento energetico degli edifici pubblici; e su un sistema aperto, democratico, in cui il cittadino prenda attivamente parte alle decisioni e si assuma il carico di alcuni servizi ora della PA (per esempio, pagando online le bollette). E la PA riuscirà così a essere più veloce, moderna e trasparente”.

Infine, che ripercussioni avrà sul mondo dell’impiego? Rifkin rassicura: “Nessun robot potrà mai sostituire un essere umano in certi ambiti. Gli uomini resteranno al centro, anzi, avranno ancora più possibilità di lavoro, ma dovranno imparare nuove abilità, quelle richieste dalla terza rivoluzione industriale. Si pensi al “capitale sociale”: cultura, educazione, salute, tutti gli ambiti che contribuiscono a creare umanità. Nessun robot potrà mai insegnare agli uomini a essere umani”.