Dal rapporto col cliente all’organizzazione interna: tutto deve essere ripensato nelle aziende per partecipare alla quarta rivoluzione industriale

Non c’è nulla di immutabile tranne l’esigenza di cambiare. Siamo infatti all’alba della quarta rivoluzione industriale: dopo la nascita della produzione meccanica sostenuta dall’introduzione della macchina a vapore (18esimo secolo) , l’avvento della fabbricazione di massa (20esimo secolo) e l’automazione produttiva (anni ‘70), il 2015 potrebbe rappresentare una data storica per l’umanità.

Ne è convinto Paolo Vannuzzi, CEO di Noovle  “Tutti i segnali ci sono: l’ambiente di produzione è pronto per diventare cyber/fisico. Questo perché il mondo è diventato digitale, i consumatori sono digitali e il business è costretto ad adattarsi”.

L’esplosione dei device mobili (entro il 2016 1 utente su 4 sarà possessore di 2 o più dispositivi) e dei social network hanno infatti portato allo sviluppo del Cloud e dei Big Data con conseguenti ripercussioni sulle imprese. Adottare, ma soprattutto abbracciare, queste tecnologie significa per le aziende fare un grande salto in avanti rispetto al passato. Nulla sarà come prima: non cambia solo il rapporto impresa-individuo (il cliente è partner verso cui convergono i processi aziendali, pensati come processi al cliente), ma anche l’organizzazione interna dovrà essere ripensata. In discussione ci sono i modelli di business stessi.

La società è ora multicanale: il 53% dei nostri connazionali naviga online , 12 milioni accedono ad Internet utilizzando tre dispositivi (Pc, Smartphone e Tablet), il 23% effettua multitasking mediale mentre guarda la TV. – ha spiegato Vannuzzi – Sebbene possa sembrare un paradosso, nonostante i maggiori canali disponibili, per le imprese risulta molto più complesso mantenere un cliente perché gli utenti sono diventanti maggiormente consapevoli e una parte del processo di acquisto non è più imputabile all’azienda. I social network, ad esempio, non sono controllati direttamente dal brand: una cattiva reputazione può avere gravi conseguenze sul business e invertire questa percezione risulta molto difficile”.

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Le imprese devono pertanto diventare vere e proprie Smart Enterprise

Imm 2Chi non lo farà è probabilmente destinato al fallimento. A confermarlo i dati di IDC: entro il 2020 l’85% delle società saranno aziende digitali specializzate nel mercato in cui si rivolgono. Tra queste però, soltanto il 30% sono organizzazioni che esistono già oggi: resisteranno soltanto coloro in grado di colmare il gap di skill tecnologiche, destinate ad aumentare inevitabilmente. Basti soltanto pensare all’Internet of Things o all’Internet of Everything: nei prossimi 3 anni saranno connessi 10 miliardi di oggetti, 50 miliardi tra 5 anni.

La digital transformation risulta pertanto una priorità ineludibile che impatta su tutti i processi operativi dell’organizzazione:

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E i vantaggi ci sono: competenze digitali, dati e processi unificati, integrazione dei processi, aumento della produttività, diminuzione dei costi operativi e miglioramento di insight da parte del mercato. Non a caso, secondo uno studio Capgemini le aziende definite “Digital Master” sono in media il 26% più redditizie rispetto alle altre imprese dello stesso settore, ottengono il 9% in più in termini di ricavi dai propri asset e presentano una market valuation maggiore del 12%.

Se i vantaggi sono ormai quantificabili, come mai molte imprese non si avviano verso il processo di trasformazione?

Alcuni timori sono legati all’incertezza dei ritorni sugli investimenti o a resistenze culturali. – ha spiegato Giuliano Noci, professore del Politecnico di Milano – La ragione più importante è però la paura del management di perdere il controllo dei propri orticelli di potere perché la digital transformation scardina l’impianto classico dell’azienda e mette tutto e tutti in discussione”.

A tutto questo va aggiunto l’avvento della stampa 3D