Non secondo il professore americano Kate Davis che imputa cambiamenti all’evoluzione della società in base all’interazione con la tecnologia

La nostra vita è sempre più intrecciata con le tecnologie digitali e i social media ne fanno da padrone: una persona su quattro nel mondo li utilizza ed entro il 2017 raggiungeranno gli oltre due miliardi e mezzo di persone. Ma qual è l’impatto di tali tecnologie nelle nostre vite? Modificano la nostra individualità? Hanno provato a rispondere a queste domande la Fondazione IBSA, l’Università Cattolica e numerosi esperti che si sono riuniti oggi presso l’ateneo milanese.

Un aspetto rilevante dei social media riguarda il tipo di vissuti emozionali ed aspettative che riponiamo in essi. Ma che tipo di emozioni nutriamo noi italiani verso i social media? “In Italia – dice Giuseppe Riva, docente di Psicologia della Comunicazione e Psicologia e Nuove Tecnologie della Comunicazione presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano – abbiamo una relazione più affettiva con il mezzo tecnologico, pensiamo a quanto lo smartphone sia lo strumento principe per andare su internet e come diventi il centro della nostra vita affettiva/relazionale. Il social diventa l’equivalente virtuale dei luoghi di aggregazione del passato, facilitato dal fatto che ognuno può disporre di questo “luogo virtuale” a casa propria, o da qualsiasi parte si trovi. Facebook  risponde alla natura degli italiani, in particolar modo per la sua funzione di connessione affettiva e rassicurante”.

Ma quali sono le implicazioni nello sviluppare la propria mente e la propria identità in un mondo digitale? Nel suo intervento, Kate Davis, professore associato all’University of Washington Information School, ha esplorato il ruolo dei media digitali in tre aree vitali della vita adolescenziale: l’identità, l’intimità e l’immaginazione. Basandosi su un ampio e vario programma di ricerca svolto con i colleghi della Harvard University, comprese interviste dirette con i giovani, focus group di coloro che lavorano con loro, nonché un raffronto originale e unico di produzioni artistiche giovanili, Davis ha valutato sia le potenzialità che gli svantaggi delle nuove tecnologie multimediali per i giovani di oggi. La metafora della “app” servirà ad illuminare gli usi di una tecnologia che promuove un forte senso di identità, favorisce relazioni profonde, stimola la creatività, e anche gli usi che pongono sfide per lo sviluppo dei giovani nelle tre aree vitali summenzionate. «Le app e le altre tecnologie multimediali – sottolinea Kate Davis – di per sé non inducono la gente a comportarsi in un certo modo, è l’interazione tra tecnologia e società che incoraggia certe forme di comportamento, auto-espressione e comunicazione, come allo stesso tempo come ne scoraggiano altri».

Secondo il giornalista e scrittore Gianni Riotta, già docente di comunicazione a Princeton e residente a New York, “ci sono grandi differenze tra gli USA e l’UE quando si parla di sviluppo & tecnologia in generale. La cultura USA è in generale più aperta al cambiamento, fiduciosa verso la tecnologia, più modernizzante: pensiamo ad esempio all’irruzione dello shale gas nel mercato energetico o alla accettazione degli OGM negli States, e pensiamo invece alle barriere e alle paure che molte innovazioni sollevano in Europa”.

“La società italiana sta rallentando – prosegue Riotta – l’Italia ha paura dell’innovazione, va online ma non utilizza il web con lo stesso atteggiamento di ricerca che si riscontra all’esteroricerche internazionali ma anche nazionali da anni mostrano una predilezione italiana per i social network (e soprattutto per FB rispetto a Twitter ad esempio, fatta eccezione per i giovani che prediligono Twitter e Whatsapp). Se usiamo il web in modo intelligente abbiamo accesso a una tecnologia che apre possibilità e per questo è affascinante. Dobbiamo ricordarci però che dietro alla tecnologia ci sono le persone: pensiamo al successo di alcuni personaggi, come lo stesso Papa Bergoglio, per la forza del loro messaggio e la capacità di fare engagement».