Secondo uno studio Assolombarda mancano le competenze mirate, soprattutto relative ai nuovi trend, e le lauree brevi non sono professionalizzanti

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Il mercato ICT, come è ormai fin troppo noto, è in forte crisi. Molto negativi sono stati infatti i recenti report realizzati da Assintel e Assinform  che hanno evidenziato un calo rispettivamente del 4 e del 4,5% rispetto allo scorso anno. Le ragioni di questo ribasso, che dura ormai da qualche anno, sono molteplici: dalla crisi economica a scelte strategiche poco efficienti, dai ritardi nell’Agenda Digitale, all’assenza di una capillare disponibilità di banda larga.

La tecnologia intanto si evolve sempre più velocemente, tant’è che spesso risulta molto difficile riuscire a mantenerne il passo. Questa difficoltà è emersa anche lato università, quando i giovani laureati, al termine  del loro percorso di studio, si apprestano a immettersi nel mondo del lavoro. “Mancano le competenze mirate, soprattutto relative ai nuovi trend, e le lauree brevi non sono professionalizzate” ha dichiarato Michele Verna, direttore generale Assolombarda nel recente convegno “L’università prepara al lavoro?”.

Durante la manifestazione è stata infatti presentata un’indagine sulle competenze dei laureati nelle discipline dell’ICT. Obiettivo dello studio era quello di monitorare le “capabilities e le skill” dei giovani laureati, al fine di avvicinare la formazione universitaria ai fabbisogni delle imprese in termini di capacità richieste al capitale umano qualificato che vi opera.

La ricerca, che ha riguardato i laureati nel settore dell’Information Technology tra il 2002 e il 2012 al Politecnico o all’università Bicocca di Milano, ha riscontrato che, nonostante si sia allungato il tempo medio per ottenere la certificazione (triennali 4 anni e mezzo, magistrali 3 anni e mezzo e a ciclo unico 8), l’80% degli intervistati è riuscito a trovare un posto di lavoro entro i primi 3 mesi dalla proclamazione. Questa percentuale sale al 94% entro i 6 mesi dalla laurea. Si tratta di un dato certamente positivo se paragonato al progressivo aumento della disoccupazione che ha raggiunto il 12,2% nel mese di agosto, secondo Istat. In più si osserva che circa il 71% del campione attualmente ha un contratto a tempo indeterminato con uno stipendio medio tra i 1500 e i 2000 euro.

Posizione attuale

Per quanto riguarda la “nazione di occupazione” si nota che il 90% lavora in Italia, mentre il restante 10% è attiva tendenzialmente in Europa, tranne qualche piccola eccezione che si è trasferita in America o Australia. Si tratta quindi di un altro elemento positivo che permette di dire che, almeno nel settore dell’Information Technology, la “fuga di cervelli” è abbastanza limitata.

Nonostante ciò, è emerso che i neo-laureati arrivano nel mondo del lavoro con una preparazione insufficiente rispetto alle attese e le abilità specialistiche da loro possedute risultano essere sempre inferiori a quelle richieste dalle aziende, che quindi, devono investire nel training al fine di incrementare le competenze dei neolaureati.

livello competenze specialistiche

Forse è anche per questa ragione che soltanto il 54,4% degli intervistati alla domanda riguardante la necessità della laurea ha risposto positivamente. Il 28,1% ha invece risposto “abbastanza”, il 13,6% “poco”, mentre il restante 3,8% “no”. Il campione attribuisce il discreto livello di soddisfazione alla mancata corrispondenza del mercato del lavoro alle promesse e aspettative del campione (54%) e al cambio di interessi (39%). Questo perché molto spesso “i giovani, ancor prima di iscriversi e talvolta anche durante il percorso di studio, non sanno quali sono i profili professionali che si generano dall’indirizzo scelto” ha aggiunto poi Verna.

Un altro problema emerso dal Report è la bassa efficacia degli stage e tirocini. Infatti la maggioranza degli intervistati è entrata in azienda dopo aver inviato il curriculum, grazie al replacement universitario o mediante conoscenze maturate dopo la prima esperienza lavorativa. Solo il 12% ha invece fatto uno stage e di questi soltanto un terzo ha poi continuato la propria attività lavorativa presso la società nella quale ha avviato il tirocinio.

Lo studio conferma così, ancora una volta, i noti limiti dell’università italiana, che offre un’ottima formazione teorica, ma non fornisce strumenti adeguati per introdursi rapidamente, e con la necessaria professionalità, nel mondo del lavoro. Un limite per l’intero sistema Paese, che avrebbe invece bisogno di professionisti in grado di supportare concretamente la crescita delle aziende nazionali.